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Basket: Hvala e avanti lo stesso, Italbasket

Ci sono sconfitte che, a prescindere dalle conseguenze che portano, risultano del tutto indolori. Quelle contro squadre che giocano con puro talento, talento, talento. Miloš Teodosić; Nemanja Bjelica; Miroslav Raduljica. In panca quel...

Franco Canciani

Ci sono sconfitte che, a prescindere dalle conseguenze che portano, risultano del tutto indolori.

Quelle contro squadre che giocano con puro talento, talento, talento.

Miloš Teodosić; Nemanja Bjelica; Miroslav Raduljica. In panca quel satanasso di Aleksandar Sasha Đorđević.

E quindi è naturale che un'Italia priva di Jesus Datome e soprattutto del muscolarmente affaticato Belinelli abbia pagato dazio, alla distanza, ad un'implacabile Serbia.

Sempre all'inseguimento (0-8 iniziale), gli azzurri hanno cercato di rimanere in scia gli imbattuti eredi della nazionale plava anni settanta, cedendo di schianto fra la seconda metà del terzo e l'ultimo, non decisivo quarto.

Commovente Gentile, affaticato Gallinari, solido Bargnani, Pianigiani ha potuto godere di buoni sprazzi dai panchinari Della Valle e Polonara, ma la difesa non regge al confronto con i duecentoquindici centimetri e quasi centoventi chili di Miro Raduljica, del continuo dentro-fuori di Bjelica ma soprattutto del talento spaventoso di un Teodosic in pomeriggio di grazia, nel quale avrebbe segnato triple pur anche bendato e costretto a camminare a testa in giù.

La mezz'Italia di oggi ha, ad un certo punto, per ragioni fisiche riposto sacrificio e sofferenza ed ha cercato di metterla sul confronto puro fra stili di pallacanestro, con ovvia conseguenza un divario importante. Per la prima volta in questi europei la Nazionale esce strabattuta ma tutt'altro che ridimensionata, e dovrà forse maledire quell'inizio-choc contro i turchi di Ataman, che giocheranno stasera contro gli islandici già al corrente della situazione e tutto sommato potranno giocare a scegliersi il quadrante degli ottavi più confacente. Okay, pensiero all'italiana, ma vedo che questa becera corrente sta prendendo piede internazionalmente. Vabbé.

Dopo due giornate di gloria, una secchiata d'acqua gelida sulla faccia; non si era brocchi contro Turchia e Islanda, né campionissimi contro Germania e Spagna. Con tutta probabilità, qualora si passassero gli ottavi (Israele?) agli Azzurri toccherebbe la Francia, se non vado errando. E a quel punto sarebbe logico pensare di giocare per il quinto posto. Mentre scrivo la Spagna passa di uno sulla Germania, sfruttando un libero sbagliato da Dennis Schroeder. E mi unisco al palazzetto teutonico, in piedi a salutare l'ultima recita di Nowitzki in maglia nazionale. Un commosso Dirk, volto immerso nella maglia a celar le lacrime, si è inchinato di fronte al proprio pubblico in segno di saluto, ringraziamento, commiato. Ha ben alle spalle i giorni migliori, il Wunderboy di Wuerzburg, ma chi lo ha visto nel 2011 vincere la NBA da solo contro gli strafavoriti Heat di LeBron e Wade, segnando triple e prendendo rimbalzi con tendini infiammati, febbri cocenti, stiramenti inguinali non può non averlo adorato. Dirk è il basket.

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