rubriche editoriali 2

Un mondo dalle ombre lunghe

Per mesi ho cercato di convicermi, di convincerVi, amici miei biacca e carbone, che la situazione non certo esaltante in cui versa il futbolìsmo udinese di questi tempi fosse di per sé necessario e sufficiente a giustificare un atteggiamento...

Franco Canciani

Per mesi ho cercato di convicermi, di convincerVi, amici miei biacca e carbone, che la situazione non certo esaltante in cui versa il futbolìsmo udinese di questi tempi fosse di per sé necessario e sufficiente a giustificare un atteggiamento forse ennuyée, di sicuro distaccato con cui da cantori di cose bianchenere ci trovavamo ad osservare, appollaiati come i vecchietti di “Sesame street”, le gesta dei giocatori indossanti casacche a noi sì grate.

Non è proprio così.

La melancolìa che mi pervade naturalmente e vieppiù di questi tempi, oggi che scrivo da una Manchester discretamente ma decisamente blindata; oggi che ad ogni levantino che si incrocia ci si pone una domanda vergognosa e vergognata, credendo di scorgere in lui germi insani, poi scacciando il pensiero con un gesto reciso della mano, ché siamo tutti figli dello stesso Dio, quello con l’iniziale majuscola, non necessariamente raccontato spiegato manifestato da libri terreni composti da mani non sempre guidate dal tocco magico e ancor più spesso selezionati da individui dal ghigno a dir poco sarcastico.

La melancolìa, dicevo: nel sentire il peso degli anni che volano sopra le nostre teste; nello scorgere agli angoli dei propri occhi quella piega di una pelle che, per forze naturali, si sta rilassando anch’essa vinta dallo scorrere delle stagioni; nel provare un po’ più freddo mentre la pioggia inizia a scorrere sulle nostre teste e gli affetti sono più lontani di un tempo, ancorché alla medesima distanza chilometrica; ecco, quella tristezza per secoli ha condotto le mani di valenti scrittori a comporre pagine indimenticabili, ancor più della gioia per un evento arrivato: atteso o inaspettato.

Quindi c’è dell’altro.

Forse la chiave è proprio il tempo che passa: unito alla totale indolenza di una squadra di calcio, in cui mancano del tutto i prestipedatori, nella quale anche lo storico capitano, per generosità o forse per giocarsi l’ultima chance nel rinnovato catino bianconero, sta naufragando senza attenuanti; il tempo, impietoso testimone del fatto che il mio cuore ferito di bambino dagli occhi pieni di quei due colori, si è indurito ad evitare il peggio.

Potranno vincerle tutte. Potranno arrivare secondi in classifica: Iturra come Pirlo, Théréau come Bettega, Colantuono meglio di Bearzot e Mourinho fusi assieme, Gino Pozzo come Mantovani o Ferlaino, ma continuerò con tutta probabilità ad osservarli con buona indifferenza, certo d’un reciproco trattamento.

Dissi, tempo fa, di come (pur insignificante) fossi stato preso a bersaglio da diverse frange di tifosi. Diversi, eppure spesso gli stessi: io, colpevole a suo tempo di schierarmi non a difesa di una proprietà che infinite soddisfazioni procurò ai tifosi... E mi si elencarono sconfitte ed elimnazioni. Sì: perché la colpa di questa squadra, la storica colpa mitigata dalla capacità manageriale di scovare sostituti ai campioni frettolosamente ceduti in cambio di una sicurezza economica, asseverando la sensazione di una gestione economica e moderatamente sportiva, è stata l’incapacità di mirare ad un risultato finale. Gli stessi tifosi che ci chiamarono “servi” perché incapaci, a loro dire, di attaccare a dovere Guidolin (li inviteremmo a rileggere ciò che scrivemmo dopo Genoa-Udinese di due anni fa); e poi di essere “retrògradi e nostalgici” perché preferivamo un pallone del passato al moderno psicocalcio stramaccioniano. E di ‘sti giorni, più o meno gli stessi a chiedermi conto del perché non abbia sostenuto una lodevole iniziativa editoriale di questa testata, tesa all’assegnazione di uno scudetto, nel 1896, quando lega e campionato di calcio erano ben di là dall’arrivare.

Bello: siamo retrògradi se pensiamo a Nerio Ulivieri, ingrati se invece non sosteniamo quanto avvenuto cento e più anni or sono.

Non entro nel dettaglio. L’ho già fatto: sono uno spirito libero, un podosfanarchico e non rispondo a nessuno, nemmeno alla fausta Direzione di questa testata. Scrivo, quel che penso e sento: vogliono pubblicare, ne sono fiero. Non vogliono: passerò i peggiori due secondi della mia vita. Credetemi: meglio un futuro in silenzio perché nessuno ci chiamerà più a dir modestamente la nostra, che riempire pagine e video di dichiarazioni costrette dall’appartenenza ad un qualsiasi sistema. Non siamo tutti uguali: il calcio è bello per questo, no? (citazione).

Il calcio è altro, e anche di questo abbiamo già parlato; e di certo attendere la gara contro la Samp-e-Doria come se dovessero giocare contro il PSG e il Reàl Madrid messi assieme testimonia di ciò. Non è una questione di risultati, ma di atteggiamento. Globale: alla società interessa relativamente migliorare la situazione, ed a chi afferma sia tutto sommato accettabile sentirsi come una Sauber di questi giorni, che passa alla Q2 delle gare di Formula Uno solo perché sa perfettamente che dietro Marussia e McLaren fanno più schifo di loro. Al tecnico è stata chiesta la salvezza, cosa a lui congeniale e di conseguenza si comporta. Dimentico, l’Anziate, che questa non è Bergamo (né Sparta, per rispondere allo speaker domenicale) e si va a giocare al pallone e non in guerra. Ai giocatori, vergognosamente adagiati su una situazione a loro pensare temporanea, che li guiderà verso luminosi traguardi futuri. Si sono scordati della riduzione delle rose, dell’aumentata competitività, del ridotto ammontare di denaro circolante. Voglio vedere chi potrà mai assumere molti fra loro (e taccio per pudicizia i nomi), dopo tali sontuose prestazioni...

Ma li salvo, i tifosi. I sostenitori, i supporters, ora commoventi ora comprensibilmente attòniti. Vittime di un sistema che, domenica, li costringerà a giustificare perché in tasca abbiano una bustina di cordiale: non sarà mica una carica d’esplosivo?

Sento, saro il solo?, di sentirmi totalmente inadeguato a vivere in un mondo nel quale per decenni si è maturata la convinzione che le leggi della dinamica non si applicassero alla realtà. Oggi scopriamo che ad ogni azione corrisponde una reazione, uguale e contraria. Spesso anche più intensa non in quanto tale, ma per l’impreparazione all’attesa.

E il calcio non fa eccezione: depauperare la rosa di una squadra, in valore tecnico umano morale assoluto, conduce a risultati modesti. La Samp appartiene ad una piazza nettamente più grande di Udine, ma per anni questa l’ha purgata, magnificamente. Mazzarri, Novellino, tutta gente fatta fuori dall’Europa che conta a colpi di maglio. Oggi, invece, uomo-contro-uomo, non c’è gara. Solo in difesa ce la si potrebbe giocare. Attendo senza grandi vampate di calore domenica pomeriggio, quando Eupalla mi ha dato la chance di atterrare, cambiarmi d’abito e sedermi sugli spalti poco prima del fischio d’inizio. Non so se varrà la pena, non so cosa mi attenderà. Ma si parte da zero a zero, come ogni maledetta domenica. Alla fine chiuderò gli occhi, sospirerò, cercherò di non annojare alcuno mettendo assieme niente più di ciò che mi sembra esser successo. Sperando, amici miei bianchineri, che sia degno della Vostra attenzione: in campo e su queste frequenze.

Franco Canciani

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