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Delneri: «Metto anche io il cartello dei 40 punti».

"L’idea di base è un 4-1-4-1, che può diventare 4-3-3. Ma il concetto è: do palla e mi muovo. Non esiste più la staticità, voglio intensità".

Redazione

Torna in panchina con la squadra che ha sempre desiderato (e per cui ha giocato). Torna in panchina contro la squadra che ha già allenato. Juve-Udinese per Delneri è doppiamente particolare:  «Una squadra che sembra imbattibile. La si affronta con dignità, sapendo che solo lei può concederti qualcosa e tu devi essere bravo a sfruttarla. Già quando c’ero io la società progettava in grande, manca soltanto la Coppa dei Campioni. Aver lasciato il club bianconero è il mio rimpianto più grande. Si ruppe Quagliarella, che era già a 9 gol. Oggi il simbolo della Juve è Buffon, uomo onesto, corretto e responsabile», ha raccontato alla Gazzetta dello Sport dove spiega perchéP ha deciso di accettare la sfida che Pozzo gli ha dato:  «La passione, solo quella. Amo ancora l’erba tagliata. Vede, i soldi li ho fatti, avessi voluto farne altri sarei andato all’estero. Ma questa è la mia vita e credo che il calcio sia una di quelle cose che non hanno età. Il calcio è fatto di idee, se le hai vai avanti. Io ho un vero amico, Edy Reja, friulano come me e più grande di me. Ci siamo visti la settimana scorsa, può ancora stare in panchina».

Come si rapporta con tutti questi stranieri tra i 20 e i 25 tutti tatuaggi e smartphone?

«Parlo molto con loro. Mi rapporto facendo l’allenatore, ma se hanno bisogno ci sono. Anche se per le confidenze di solito vanno più dal vice. Che ora è Giuseppe Ferazzoli, che fu mio giocatore a Terni».

Quanto la riempie di orgoglio allenare in Friuli e sentirsi desiderato da questa gente?

«Tanto. Spero di far innamorare i tifosi. Andai vicino all’Udinese due volte: prima della Samp e prima che prendessero Stramaccioni. Conosco i Pozzo da anni perché allenavo la Pro Gorizia dove era presidente il fratello di Gianpaolo».

 

Che squadra ha trovato?

«Giovane. Giù di morale. Ci sono tante culture da assemblare, ma non dite che sono tutti stranieri perché tanti di loro giocano qui da anni. Il calcio ormai è un’azienda. Io devo insegnare a stare in campo, è la cosa che amo».

Cosa le ha chiesto Gino Pozzo?

«Di dare una fisionomia e praticare un calcio propositivo».

Cosa cerca di imprimere all’Udinese?

«Insegnare a stare in campo e non aver paura, soprattutto di passare la metà campo. Erano un po’ frenati».

 

Lei si porta dietro l’etichetta di quello che ha fatto bene al Chievo col 4-4-2. Le dà fastidio?

«È il dato più eclatante, ma io ho fatto bene anche a Bergamo con il 4-2-3-1, e quanto rese Ferreira Pinto».

 

L’Udinese dove può arrivare?

«Metto anche io il cartello dei 40 punti».

Come giocherà?

«L’idea di base è un 4-1-4-1, che può diventare 4-3-3, a voi giornalisti piacciono questi numeri. Ma il concetto è: do palla e mi muovo. Non esiste più la staticità, voglio intensità. Cercherò di far giocare i giovani, questa è la strada, in Europa giocano a 18-19 anni. Dobbiamo arrivarci».

Lei ha allenato Samir, giocherà? Adnan è giubilato? Perica è così forte? Thereau si riprenderà? Widmer che ruolo ha?

«Samir è un buon centrale che può fare il terzino sinistro, Adnan posso solo dire che ha un sinistro micidiale può difendere meglio, Perica è un combattente, lotta, Thereau è motivato, ha lavorato benissimo in questi giorni, Widmer è un esterno basso. Ma qui gioca chi sta meglio, non ci sono titolari. I calciatori hanno un solo compito: mettermi in difficoltà».

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