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Il ‘Drago’ Stankovic a San Siro nella sua notte

Quando ha smesso di aspettare altro, Dejan Stankovic ha iniziato ad aspettare questo giorno. Che poi sarà una notte e in fondo è bello così, perché Stankovic è stato spesso un bello di notte per l’Inter: Inter-Udinese, la notte del ritorno...

Monica Valendino

Quando ha smesso di aspettare altro, Dejan Stankovic ha iniziato ad aspettare questo giorno. Che poi sarà una notte e in fondo è bello così, perché Stankovic è stato spesso un bello di notte per l’Inter: Inter-Udinese, la notte del ritorno a San Siro del Drago (copyright Roberto Scarpini, Inter Channel). I numeri dicono che non è la prima volta da avversario e che in maglia Lazio contro l’Inter non ha mai perso: dieci partite con sei vittorie e quattro pareggi. Ma il cuore dice che è la prima volta contro dopo quella sua «storia lunga dieci anni che ha contribuito a fare la storia dell’Inter»: ieri Deki ha provato a sintetizzare così, cercando parole che mai potranno spiegare fino in fondo quale sia stato il suo rapporto con l’Inter. Quale sia tuttora, perché per molti alla Pinetina Stankovic è ancora un punto di riferimento, una voce amica, un esempio da non disperdere. Lui ha sperato per mesi che non tutto andasse perduto, ma la verità è che non gli è mai successo di vivere o giocare aspettando più di quanto gli dicesse l’istinto: quando la scorsa estate lo chiamò Stramaccioni aveva già realizzato che difficilmente per lui ci sarebbe stata un’altra Inter, e il resto è stato conseguenza. 

CON TUTTO IL MIO AMORE Quel che resta è una lunga storia di sentimenti, come da epigrafe - «con tutto il mio amore» - che Stankovic mise in calce alla lettera scritta il 6 luglio 2013 per salutare dopo 326 partite e 15 trionfi con l’Inter. «I dieci anni più importanti della mia vita», scrisse anche. Dieci, anche se nell’estate del 2008, quando arrivò Mourinho e la Juve si affacciò ancora una volta sul suo destino di calciatore, si era pensato ad un film nerazzurro arrivato ai titoli di coda. Dieci anni, e ripercorrerli tutti è un su e giù frenetico come le sue corse da giocatore che alle gambe e ai polmoni ha sempre chiesto tanto.

SUDORE E LACRIME «Testa fredda e cuore caldo» è una frase che a Stankovic è sempre piaciuta, per spiegare come avrebbero dovuto giocare lui e l’Inter. Con un condizionale d’obbligo perché «l’adrenalina che mi fa saltare il tappo del cervello» è sempre stata il suo undicesimo compagno di squadra. Lo ha fregato molte volte, ma una volta per sempre ha fatto innamorare di lui la gente dell’Inter: per come portava quella maglia, «e per quanto provo sempre a riempirla di sudore». Sudore e lacrime per Stankovic non è mai stato solo un modo di dire, perché per l’Inter ha pianto più di una volta, anche di delusione ma alla fine soprattutto di gioia. Campione d’Italia, campione d’Europa avvolto da una bandiera della Serbia nella notte di Madrid e poi campione del mondo: fu lui ad Abu Dhabi nel 2010 ad aprire il cammino per salire sul tetto, con il primo gol nella semifinale con i sudcoreani del Seongnam.

IL NEMICO TENDINE Ma ha pianto pure di dolore, giocando con un alluce rotto, un’ernia all’inguine, una pianta del piede in fiamme, soprattutto un tendine più maligno anche dei ferri di un chirurgo: il nemico di una battaglia lunga poco meno di un anno e in quei lunghi mesi, quando arrivava alla Pinetina, era difficile capire se Deki avesse più voglia di guarire o di spaccare tutto. Il nemico che poi gli ha fatto dire basta, ma solo quando lo decise lui: dopo essere tornato in campo, il 10 febbraio 2013, Inter-Chievo 3-1, cuore in tumulto e parole da superstite. Disse «ho avuto paura di non poter giocare mai più», e una volta di più fece fatica a ricacciare in gola le lacrime.

CHE GOL, QUEI GOL Quel giorno San Siro si alzò in piedi per lui, perché era come ritrovare l’amico di un lungo viaggio, iniziato insieme tanti anni prima per scavalcare le paludi del «non vincete mai» e arrivare a vincere tutto. Scudetti, e coppe, e derby, e fu proprio contro il Milan che Stankovic segnò il suo primo gol nerazzurro, il 21 febbraio 2004, di destro da fuori area. Il suo marchio di fabbrica: in carriera ha fatto gol così ventidue volte e così ha regalato all’Inter perle indimenticabili, dal 4-0 nel derby dell’agosto 2009, al gol da centrocampo nel 5-0 contro il Genoa a Marassi su rinvio sbagliato di Amelia (ottobre 2009), alla parabola impossibile disegnata da più di 50 metri contro lo Schalke 04, nell’aprile 2011.

CHIAMATEMI JOLLY Stankovic era così, molto più facile che segnasse gol pazzeschi piuttosto che banali e ci scherzava su con l’amico Kezman: «Sai perché, Mateja? Mi è scaduto l’abbonamento con i gol facili e non riesco a parlare con il titolare dell’azienda per rinnovarlo». Da lui ci si poteva aspettare comunque l’incredibile, nel bene e nel male. Con lui gli allenatori sapevano che c’era sempre il rischio di litigare («Qui ogni volta escono gli stessi», urlò un giorno a Ranieri), ma da lui sapevano di potersi aspettare sempre un sì. Qualunque fosse il ruolo in cui decidevano di impiegarlo, e un giorno a Mancini urlò: «Ehi Mancio, vuoi che dietro la maglia, sopra il 5, mi scriva “jolly” invece che Stankovic?». Sinistra o destra, meglio partendo da sinistra ma non sempre finiva com’era meglio per lui: interno di tre, esterno a centrocampo oppure in attacco nel 4-4-2 o nel 4-3-3, davanti alla difesa da play oppure da mediano di un 4-2-3-1, trequartista per Zaccheroni come per Mourinho.

MANCIO, TI ABBRACCIO Oggi sta anche lui da quella parte della barricata, e stasera prima di andare a sedersi in panchina al fianco di Stramaccioni abbraccerà Mancini, che dalla panchina lo ha telecomandato sia alla Lazio che all’Inter. Non è la prima volta, uno contro l’altro, e finora Deki non ha mai perso. Neanche contro il Mancio, come contro l’Inter: 3-0 alla sua Fiorentina il 9 dicembre 2001 e 0-0 in Inter-Lazio del 25 aprile 2004. Se Mancini fosse tornato prima all’Inter probabilmente lo avrebbe scelto come vice allenatore, ma è tornato quando lo aveva già voluto come suo vice Stramaccioni. E mentre aspettava la notte del Drago, forse neanche Stankovic aveva messo in conto questo tuffo al cuore in più.

(Dalla gazzetta dello Sport)

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