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E’ solo calcio (F.Canciani)

È solo calcio. È solo calcio. È solo calcio. È solo calcio. È solo calcio… Ogni volta che una stagione finisce, bene o male che sia stata. Per non dimenticarmelo mai. È solo calcio. È solo calcio. È solo calcio. È solo calcio. È...

Franco Canciani

È solo calcio. È solo calcio. È solo calcio. È solo calcio. È solo calcio...

Ogni volta che una stagione finisce, bene o male che sia stata. Per non dimenticarmelo mai.

È solo calcio. È solo calcio. È solo calcio. È solo calcio. È solo calcio...

Ogni volta che sento tirare i bilanci, darmi motivazioni per cui le cose sono andate così, e i solòni che si esprimono con recise sentenze assestanti chi ha fatto bene e chi ha fatto male.

È solo calcio. È solo calcio. È solo calcio. È solo calcio. È solo calcio...

Ogni volta che chi arriva, calciatore allenatore dirigente, è meglio di quello precedente anche se in carriera ha raccolto soddisfazioni pari alla temperatura media autunnale di Arkangel’sk.

È solo calcio. È solo calcio. È solo calcio. È solo calcio. È solo calcio...

Ogni volta che le metaforiche porte delle stanze della squadra cui tengo girano più veloci di un vecchio 78 giri, la vecchia canzone di una volta, Natalino Otto triste come me di questi tempi (e il pallone c’entra poco).

È solo calcio. È solo calcio. È solo calcio. È solo calcio. È solo calcio...

Tu dentro, tu via, tu in Spagna, tu in Spagna, tu e tu fuori Londra, tu via, tu in C, tu... ma chi ti ha preso a te? Ah, io? Ma quando? Mah, allora tu via... Mister, ecco la sua rosa.

È solo calcio. È solo calcio. È solo calcio. È solo calcio. È solo calcio...

Non fraintendetemi.

A me di Granada e Watford non è mai fregato nulla. Penso però che se fossi un supporter nord-londinese o appartenessi alla pena della squadra andalusa avrei le stesse, precise intifiche esigenze di un sostenitore friulano: prendimi questo, vendimi quello, fammi una squadra che giochi al pallone e mi faccia uscire dallo stadio con il sorriso sulle labbra.

Ma Granada e Watford sono squadre altre, seguivo l’Udinese prima di Pozzo e la seguirò anche dopo che la famiglia che ha portato a Udine cotanti risultati deciderà che è giunta l’ora di salutare.

È solo calcio. È solo calcio. È solo calcio. È solo calcio. È solo calcio...

L’annata andata in archivio porta, alla voce “responsabili”, la firma di tutti e di nessuno. Di nessuno, perché se ci dava il rigore, se non dava il golo-non-gol, se quello segnava, se l’altro parava. Di tutti, perché la dirigenza può comperare un dio del calcio, ma se questo non si comporta decentemente in campo conta nulla; l’allenatore può essere il migliore al mondo, ma se sulla pelouse vanno quattordici persone svogliate che partono da basi tecniche non propriamente esaltanti, conta nulla.

Nella mia vita ho visto sparire decine di allenatori: alcuni hanno lasciato una traccia indelebile; altri hanno svernato, deludendomi (Hodgson, Bora Milutinović); molti quelli cacciati, a ragione o improvvidamente. Ogni volta una motivazione diversa, ogni volta molti d’accordo altri per nulla, ma si ricominciava dopo quaranta giorni e giù di autografi con il nuovo arrivato.

Sarà così anche quest’anno, senza dubbio. Passata la nuttata Stramaccioni raggiungerà gli altri nel nòvero degli ex, la società non mi ha ascoltato (perdonatemi l’iperbole, via!) e ha dovuto per forza concludere lo scarno comunicato con le ipocrite parole che rifuggivo pochi giorni fa. Che tradotte si potrebbero leggere con “ma è ancora qui, Lei? Non ha ancora vuotato l’armadietto?

Ho scritto un pezzo inutile, cinquecento battute di innocui discorsi, per chiuderlo con un piccolo pensiero dedicato a chi è chiamato a gestire i colori che mi sono così grati (biacca e carbone, non più bianconerossoblugiallo). Anzi, come direbbe Verdone/Don Alfio “una parabbola”.

In un‘azienda qualsiasi, e l’Udinesecalcioessepià lo è, esistono delle frizioni interne. Si sa, prendiamo atto ed andiamo avanti. Le analisi societarie individuano punti forti e deboli, cercando di inglobare questi ultimi nell’organismo organico prima di espellerli definitivamente. Insanabile essendo la frattura, ci si saluta. Succede così.

Ma chi definisce i punti deboli come tali, quando (ed una squadra di calcio fa testo) esistono così tanti aspetti che si intersecano? Perché se un trainer viene cacciato, qualcuno lo deve aver deciso (chiaro, alla fine ognuno tira l’acqua al suo mulino dicendo cose tipo “sono io ad essermene andato, non sono stato cacciato”).

Adesso questo “qualcuno” è nudo: la responsabilità non sarà più di quel punto debole. Don’t tell me you love me, show me you love me. Siamo qui, aspettando di vedere cosa offrirà il convento bianconero l’anno venturo.

A proposito: auguri al nuovo mister, chiunque egli sia. Di cuore. Ne avrà bisogno. Un altro maestro elementare, un altra penna rossa. De Amicis avrebbe vinto il Bancarella scrivendo di Udinese, fosse stato mio coèvo...

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