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Nessuno allo stadio…(F.Canciani)

Ho sempre considerato il gruppo di Stefano Belisari, intesi Elio e le storie tese, un geniale esempio di falsa demenzialità. Un modo solo apparentemente scherzoso di leggere la realtà, accompagnato da musicisti di respiro internazionale come...

Monica Valendino

Ho sempre considerato il gruppo di Stefano Belisari, intesi Elio e le storie tese, un geniale esempio di falsa demenzialità. Un modo solo apparentemente scherzoso di leggere la realtà, accompagnato da musicisti di respiro internazionale come Faso, Cesareo, il compianto Feyez.

Nel 1994, in piena ondata Gialappa’s, il programma Mai dire Mundial aveva come protagonisti della sigla i nostri eroi, abbigliati prima come un Quartetto Cetra, d’antàn, per poi trasformarsi nei fratelli Gibb... “Nessuno allo stadio, nessuno sugli spalti... Nessuno realizza, nessuno fluidifìca”.

C’entra, ventuno anni più tardi, il motivetto creato dagli ineffabili milanesi?

Credo di sì: maledetti loro, preannuncianti la scoperchiatura del vaso pieno di malaffare. Lo scrissero per criticare, con levità, la prima assegnazione di campionati a paese “altro” dal nostro piccolo mondo anticamente podosferico; adombrarono in molti sospetti di potenziale interesse nell’abbandono del mondo cògnito per quello futuribile, legato allora ai fasti di ex campioni, quali Chinaglia, Beckenbauer, Cruijff e Pelé che negli anni settanta e ottanta misero in atto un circo mediatico battezzato MLS.

E dopo quasi un quarto di secolo scopriamo, toh?, che girano valigette piene di svanziche, dracme e pizze di fango del Camerùn allo scopo di addomesticare i voti. E che il discusso omnipotenziario FIFA viene rieletto semplicemente per mancanza totale di avversari (anche l’apposito principe giordano essendosi ritirato a elezione in corso, ché nessuno mica gli ha detto che sarebbe potuto entrar cardinale ed uscirne Papa...)

Nessuno allo stadio, quindi. Sembra che il mondo pallonaro cerchi di proposito di scacciare i tifosi dagli spalti. Le Federazioni creano scandali in quantità industriale: concussi nelle alte sfere, omofobicamente sproloquianti i piccini piccini nostrani; le gestioni delle squadre di club (nazionali e non) quantomeno allegre, con sceicchi che ripianano debiti mascherando la dazione con la veste nobile di sponsorizzazione per non incorrere negli strali del fairplay finanziario; con magnati asiatici che prestano denari alle proprie formazioni al simpatico tasso d’interesse dell 8.77% annuo, presidenti-tifosi con la elle moscia; proprietari di squadre genovesi che si indignano per la mancata concessione federale della licenza Uefa, salvo non presentare l’arbitro di parte all’udienza di ricorso; e per venire a casa nostra, il momento d’impasse che sta vivendo il progetto perfetto bianconero, invidiato da tutti e da tutti decantato.

Il progetto. Ebbene no: non ho ancora digerito la probabilissima giubilazione del mister Andrea Stramaccioni. Non tanto e non solo perché lo avrei voluto vedere all’opera con una formazione un po’ meno ignava e pigra dell’attuale; non solamente perché l’ormai quasi certo sostituto e la mia personalissima visione di calcio, basata su allegria e grande bellezza intrinseca stanno su piani obiettivamente separati; soprattutto, invece, perché questo sancisce dove la società Udinesecalcioessepià abbia inteso trovare l’anello debole della catena.

Taccio i gossip sui motivi reali o presunti per i quali il divorzio si consumerebbe, alcuni dei quali offenderebbero qualora confermati (ma per fortuna o purtroppo non lo saranno mai); mi sarebbe piaciuto vedere un biennio di costante crescita, ove possibile, e di consistente lavoro su un gruppo consolidato di giocatori, con l’ovvia sostituzione di quelli manifestamente inadeguati.

Non ho mai obiettato sulla decisione della società di puntare alla salvezza tranquilla mentre la tifoseria e tutti gli addetti ai lavori si aspettano ben altro: allora perché far saltare l’allenatore responsabile del raggiungimento degli obiettivi? Perché si è giocato male? Perché “si fa così”?

Allora lo si deve dire. Avere la compiacenza di ammettere che il fine primo, ultimo e forse unico della presenza dell’Udinese in serie A è divertire e divertirsi, giocare alla grande, segnare caterve di reti e raccogliere ovazioni ovunque, cose peraltro abbastanza comuni non secoli fa. Ma se questo è lo scopo, ed un campionato con quota salvezza a tipo 32 punti lo permette, allora bisogna attrezzare una formazione all’uopo allestita; non, invece, sedersi lì, come Penelope di fronte ai Proci, e tessere la tela d’estate sapendo di volerla disfare in quella successiva, per ricominciare da capo.

È questo che non mi “batte” nella vicenda-Stramaccioni: l’anno passato la squadra fu forse sopravvalutata, ma aveva in sé campioni come Roberto Pereyra e giocatori in forma decisamente diversa come Widmer, Heurtaux e Gabriel Silva (e lo dico da profondo ammiratore di Francesco Guidolin) e fallì la stagione. Quest’anno sono stati inseriti Théréau e Koné in un telaio indebolito da alcune cessioni, dalla forma precaria di certe pedine, dall’inevitabile invecchiamento dei tre senatori. Una co-assunzione di responsabilità mi sarebbe piaciuta.

Ma io sono nessuno, e l’Udinese una società modello. Questo qualcosa vorrà pur dire. Quel che voglio dire io, da non stramaccionano conclamato, è che sono e rimango perplesso.

E non credo di essere l’unico. New FriuliStadium: spero che, nella stagione prossima, la canzoncina di Elio, che regala il titolo a questo pezzo, non ne diventi l’inno ufficiale.

"Franco Canciani@MondoUdinese

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