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Sassari contro Reggiana, il basket che ci piace (F. Canciani)

Nessuno avrebbe potuto ipotizzare, al termine della regular season, una finale fra BancoSardegna e GrissinBon. Le squadre più gettonate, la corazzata Milano e la migliore Venezia dai tempi di Praja Dalipagic, sono state sbattute fuori entrambe in...

Franco Canciani

Nessuno avrebbe potuto ipotizzare, al termine della regular season, una finale fra BancoSardegna e GrissinBon. Le squadre più gettonate, la corazzata Milano e la migliore Venezia dai tempi di Praja Dalipagic, sono state sbattute fuori entrambe in gara sette, e tutte e due sul proprio terreno.

Tra Sassari e Milano per cinque gare il basket migliore lo hanno giocato i biancoblu di Meo Sacchetti; hanno avuto sul pugno casalingo il colpo del k.o., ma Milano ha impattato 3-3 con una gara giocata sui nervi. A Milano il coach di Altamura compie un vero e proprio miracolo: nella peggiore posizione possibile, ricostruisce morale e gambe dei suoi portandoli a vincere, ai supplementari, nel catino ambrosiano. La squadra ha demolito gli avversari sotto canestro, e su quello decisivo (Milano era sopra di tre a sette secondi dalla fine) Lawal ha arpionato la palla sotto canestro due volte consecutivamente. Fischi per Gentile, Hackett e soci, avanti ci va il simbolo di una regione, di un popolo intero, progetto che affonda le radici nell’arrivo di Sacchetti nel 2009 (la stagione precedente a Udine) e in un manipolo di ex-ragazzi come Brian Sacchetti, DeVecchi, Formenti e Vanuzzo.

Ancora più devastante la sconfitta di Venezia, che vede violare l’Arsenale da un manipolo di grandi cuori, privi del play titolare Mussini e di Drake Diener e con un Lavrinovic che salta gara-5 e sei, ma a Venezia si sarebbe presentato anche con una sola gamba. Risulterà decisivo, il totem lituano trentaseienne, nella gara che sancisce come Venezia fosse intimamente convinta di chiuderla ben prima, arrivando perciò a gara sette svuotata di energie psichiche e fisiche. Emozionante il video girato a fine gara, fuori dal torrido palazzetto veneziano, dove i sessantacinque al seguito inneggiano ai giocatori vittoriosi: esce un ragazzone, naso adunco capelli a spazzola torso nudo, che si arrampica sulle recinzioni e piange esulta urla con loro. Non uno a caso: Andrea Cincia  Cinciarini, c’è solo un capitano, romagnolo dal sangre caliente che ha issato, assieme al bucaniere lituano Kaukenas, a Polonara, a Della Valle e Chikoko, la bandiera biancorossa sul fortino Umana Venezia. Uno, il Cincia, capace di penetrare in faccia a gente come Goss e Julyan Stone, fermandosi poi fronte contro fronte a chieder loro “so what?”.

Peccato per coach Recalcati, per Thomas Ress simbolo di sportività, per un pubblico fantasticamente entusiasta ma la finale quest’anno non sarà cosa loro.

Domani si comincia: ci sarà alla fine chi masticherà amaro e coloro i quali vedranno sventolar per sé bandiere e vessilli, ed i cori saran per loro. Per noi, commentatori imparziali, comunque vada sarà un successo. Perché in campo ci vanno doti come coraggio, freddezza, orgoglio e cuore. I dream team milionari rimangano oltre il grande stagno Atlantico: non son cosa per noi, caro il mio abbronzatissimo Giorgione milanès.

Franco Canciani @MondoUdinese.it

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