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Capire di calcio…(Di F.Canciani)

Il mio socio si riunisce con colleghi/amici di una vita, prima di ogni manifestazione calcistica importante (Europei, Mondiali) per chiudere in una busta pronostici, rose di giocatori, risultati vari dell’evento incombente. Chiamano il concorso...

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Il mio socio si riunisce con colleghi/amici di una vita, prima di ogni manifestazione calcistica importante (Europei, Mondiali) per chiudere in una busta pronostici, rose di giocatori, risultati vari dell’evento incombente. Chiamano il concorso “Capire di calcio”. Io non vi partecipo. Perché?

Perché di calcio, ma non solo, scrivo senza capirne nulla.

Può sembrare, tale auto-intemerata, un’immodesta richiesta di endorsement da parte del copioso pubblico, in gran parte groupies femminili, unito dall’unico urlo tipo “ma noo, ne sai moltissimo!” (stasera mi sento zingaro e si nota. Credo.)

Invece no: la mia totale ignoranza in materia, d’altro canto, si nota negli amorazzi senza timidezze che sbandiero senza verecondia: verso giocatori che ai miei occhi parevano campioni, ma si rivelarono pedatòri tutt’al più onesti.

Esempio? Claudio Vagheggi. Dopo le biciclette a Samp-e-Doria e all’Inter ero certo di aver trovato l’erede locale al Bettega juventino. Invece fu onesta carriera nelle serie inferiori, con un ritorno a Udine in B nel 1987 e dieci piccole reti.

Stessa cosa per Loris Pradella, anno 1981, che pareva un invincibile corazziere ma si spense tutto sommato molto presto. E quell’anno a novembre l’Udinese acquisì Cinquetti dal Pescara, uno che aveva fatto sempre soffrire i bianconeri: quell’anno giocò un girone intero, quasi sempre subentrando, senza lasciar traccia.

Peggio andò l’anno successivo a Gianfranco Casarsa, nativo del quartiere udinese (San Domenico) ove ho trascorso bellissima l’infanzia dai nonni materni, anche se alcuni spostano la gènesi del centrocampista nel più nordico Villaggio del Sole. Mezza dozzina di partite, una sola occasione a tu per tu con Malizia e sprecata miseramente. Calciava i rigori da fermo: quell’anno la palla non la vide mai.

Nel 1982, un’Udinese tutto sommato eccellente sesta (sei vinte, venti impattate, quattro perse) acquisì Roberto Corti, quotatissimo portiere proveniente dal Cagliari. Ne fui eccitatissimo, visto che Charlie Della Corna dopo l’incidente non era più lo stesso. Ebbene, di lui mi ricordo gare grigie con l’apice negativo della quaterna doriana (mi par tripletta di Trevor Francis).

Correva l’anno 1985, e l’ultimo giorno di mercato Lamberto Mazza si presentò trionfante in tv: doveva far scordare una leggenda come Zico, costretto ad una fuga precipitosa e non degna della sua statura morale, e dichiarò che dall’Avellino aveva prelevato Colombo, Tagliaferri e soprattutto il furetto peruviano Jerry Barbadillo. Tralascio l’unica rete di Colombo e le prestazioni del povero Peppo; Barbadillo a Udine trovò più soddisfazioni dalla catena di fast-food Jerry’O che dal campo, dove raccolse una ventina di presenze ed un paio di realizzazioni. Impalpabile.

Tempi più recenti: l’Udinese di Pozzo guarda all’Africa e mi innamoro di due bei centrocampisti. Delle prestazioni del primo fra loro in una breve permanenza udinese, Adil Ramzi, ricordo le infinite volte in cui bussò alla porta di mio padre, dato che scordava regolarmente le chiavi di casa infilate nella serratura dalla parte interna rimanendo chiuso fuori. Fece una bella carriera in Olanda, mi perplesse la cessione rapidissima alla ricerca della plusvalenza.

Più dolorosa, ai miei occhi deliranti di bianco e nero (all’epoca ero gran supporter e non certo ancora vecchio brontolone), la mancata riuscita di Hazem Emam (foto), lo Zico delle Piramidi, prestigioso ragazzo egiziano gestito secondo me malissimo da Zaccheroni. Ero in curva al Curi di Perugia, ottobre 1996, quando dopo un inizio eccellente (rete di Poggi) la squadra di Galeone rimontò grazie a Max Allegri. Zac mise allora in campo Emam, che scalpitava in panca, ma complice la quasi immediata espulsione di Rossitto, causata da una sceneggiata dell’attuale allenatore juventino (che ammise “sportivamente” di aver urlato ed essersi rotolato in terra solo per la paura che l’intervento di Fabio gli procurò), fu escluso dopo cinque minuti a beneficio di Mimmo Gargo. La mia gara finì in quel momento, quasi non mi accorsi del vantaggio biancorosso con una rete di Marco Negri proprio sotto al settore occupato dai tifosi bianconeri; i miei occhi puntavano l’asciugamano sotto il quale Hazem pianse lacrime di delusione, frustrazione, forse rabbia. La settimana successiva entrò a dieci dalla fine sull’1-1 contro la Reggiana, ricevette palla a sinistra, ne gabbò due e crossò una palla delicatissima che Poggi mise nel sacco. Fu il suo canto del cigno: cessione ad una squadra di seconda fascia olandese e in seguito al suo Zamalek FC.

Da allora decisi di non affezionarmi più puntando così a fondo su un giocatore solo, scommettendo sulle prestazioni di calciatori per cui la gran parte degli appassionati, quelli che ci vedono lungo, non spenderebbe nemmeno il classico copeco russo.

Ho indulto, la direzione lo sa, solo l‘anno passato quando a centrocampo fu preso un brasiliano; ad agosto mostrava tocco felpato e movimenti sinuosi, per quanto lenti. Mi parve il giocatore che attendevo da quando Pizarro era volato via, anche se esteticamente assomigliava più a un cinquantenne geometra del catasto che a un ventitreenne talento paulista. Come sempre il tempo mi dette “ragione”, e mentre il mondo accelerava in maniera direttamente proporzionale alla crescita della condizione atletica, l’ineffabile Torres regrediva al ruolo di fenomeno parastatale, di raccomandato dell’allenatore ché sarebbe meglio schierare un primavera che quella tartaruga lì (cit.). Si presentò come un mediocampista dal tiro micidiale: metterà a dura prova le strutture della crescenda curva Nord, tanti saranno i tiri finiti diversi metri sopra la traversa...

Mi fermo qui: la mia esposizione al Vostro ludìbrio, amici miei biacca e carbone, sia stata sufficientemente autocritica per tutti i giocatori sui quali ho sbagliato valutazione, accecato d’amore li stavo a guardare senza accorgermi che il talento risiedeva altrove. A capire di calcio sarei la vittima sacrificale, l’ultimo arrivato, la lanterna rossa per definizione. Unica, ultima speranza una trasformazione della crisalide paulista in farfalla verdeoro. Vabbé, ho capito: avanti il prossimo (bidone), gli lascio un posto, io, nell’empìreo di chi non ce la può fare...

E le groupies se ne sono andate. Pazienza, basta la salute.

Franco Canciani @MondoUdinese

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