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Discutiamo l’allenatore. Mai l’uomo

Non sono garantista, né manettaro; mi interessa in genere poco sapere se e come le persone, quandanche fossero l’allenatore della Nazionale o quello della squadra verso cui sono meno indifferente, possano essere chiamati a rispondere di...

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Non sono garantista, né manettaro; mi interessa in genere poco sapere se e come le persone, quandanche fossero l’allenatore della Nazionale o quello della squadra verso cui sono meno indifferente, possano essere chiamati a rispondere di eventuali reati.

Le squadre di calcio non sono società filantropiche in cui la sola chiamata a reità costituisce un cruccio insormontabile; in più, nel caso di Colantuono o Conte, l’impianto accusatorio si fa forte del “non poteva non sapere”, basando la frode sulla mancata sorveglianza e denuncia del malfatto.

Mi stupisce, perciò, leggere titoloni sui giornali locali che stigmatizzano la notizia del rinvio a giudizio del mister bianconero, quasi questo significasse naturale, scontata, ineluttabile condanna del suddetto. Certo, è luglio: la notte è un girarrosto, la squadra in via di stentata definizione, molti protagonisti stanno godendo di ferie supplementari, tanti fra i nomi fatti non stuzzicano l’immaginario dei supporter ed altri sono stati sollevati ad arte per captare sugli assistiti (così si capisce a chi mi riferisco, quando parlo di polveroni alzati) l’interesse di squadre “prestigiose” che un giorno si svegliano e scoprono di non poter far più a meno del tal pedatore (salvo cederlo nella successiva sessione di mercato). Insomma, capisco se e perché alcuni usino tutte le colonne a disposizione per lanciare la notizia del rinvio a giudizio. Ma questo non mi fa cambiare idea.

L’istruzione di un processo, statisticamente, nella gran parte dei casi si risolve in una bolla di sapone. Potrebbe tranquillamente essere il caso di Conte e Colantuono: ma anche così non fosse, anche ci fosse una sentenza di colpevolezza (per un reato, quello presunto, che ai miei occhi vale quanto una flatulenza nello spazio), chissene? Giudichiamo le prestazioni sportive, solo quelle. La cronaca giudiziaria va a pagina cinque, e solitamente mi piace leggerla solo se a firma di alcuni “colleghi”; altri non sono all’uopo attrezzati, per mancanza di un sufficiente archivio e per precipuità diverse. Non siamo tutti uguali ancorché tutti bravissimi.

Ed allora meglio iniziare il solito, annoso e talvolta stucchevole totomodulo. Stefanino Colantuono, nei passati campionati, si è schierato in maniera diversa, a seconda dei giocatori messigli a disposizione (e questo depone a suo favore... Detto da me, doppio complimento). Esempio? A San Benedetto del Tronto, quando esordì e magari qualche capello lo aveva ancora, giocava con una punta (Soncin) ed un trequartista, e dietro due linee compatte e allineate da quattro. A Catania schierava invece un impuro quattro-quattro-due, con Mascara e Lulù Oliveira a giocar da falsos nueves quindi pronti a diventar 4-3-2-1 (giocava con loro anche lo slovacco – ceco Jaroslav Sedivec, un altro che in carriera ha raccolto un decimo di quanto prometteva). A Perugia, invece, nel 2004 ha Ravanelli, ancora Mascara e Sedivec, Marquinhos Negri e Floro, per cui passa ad un praticissimo 4-3-1-2. Eccellente stagione, frustrata solo dal Torino ai play-off promozione, ed ancor più amaro epilogo con il fallimento e l’iscrizione in C1 grazie al lodo Petrucci.

A Bergamo, poi, basandosi sul 4-4-1-1 (e come ti sbagli?) disputò anche partite con un arrembante 4-3-3, schierando contemporaneamente sulla stessa linea Mauricio Pinilla, el Tanque Dénis e Maxi Moràlez, magari col Papu Gòmez a ispirar calcio.

Insomma, ce n’è per tutti i gusti. Una sola cosa mi sembra unisca le diverse idee tattiche: la difesa a quattro elementi (e a-ri-come ti sbagli?). Colantuono ama osare solo se sa che dietro la difesa è bella stretta, chiusa a doppia mandata, ché (come diceva Edmeo Lugaresi) “acciò, se non prendi gol mal che vada pareggi... e se magari ne segni uno... vinci anche, no?”. Io sono certo che quest’anno, sempre se gli verranno messi a disposizione elementi adatti, potrà schierare tre centrali e due cursori laterali veloci veloci, ficcanti come piacciono a noi. L’importantissimo sarà accoppiare a Danìlo un (paio di) compagno (i) affidabile (i) e veloce (i). Il Larrangeiro, difatti, patisce come nessuno l’aver a fianco un Heurtaux fuori forma, un Domizzi in versione pensionato arrabbiato, peggio ancora due colossi (uno balcanico, l’altro d’ebano) meno mobili di due nani da giardino. Si vociferava di Samìr, non verrà ed è un peccato; la difesa è invero ancora piuttosto cantierata, ma presto o tardi qualcosa si dovrà pur fare.

Se giocherà con cinque in mezzo, resta da capire come vorrà schierare i suoi prodi il sergenton’allenatore: magari un rombo basso con trequartista avanzato; forse due laterali, tre centrali a scalare sul campo; troppe le incertezze ancora presenti nella rosa. Davanti però, e ne son certo, giocheranno due punte. Una più di peso, centrale; l’altra (Théréau) a girar intorno a questa. Più Zapata che Totò, invero. Sempre viva, la mia speranza di vedere Di Natale suggeritore dietro le due punte, ruolo a cui sarebbe portato naturalmente per visione di gioco, tocco di palla, personalità. Forte sarà però il richiamo della rete, per cui ingrato mi sarà morir con speranza allegata ed impagata.

Visto? Si possono raccogliere ottocento battute, anche dal basso della mia ignoranza tattica e fors’anche tecnica, senza nemmen sfiorare le cose altre. Il calcio è un gioco, molti addetti ai lavori se ne dimenticano forse obnubilati (beati loro!) dalla meritatissima ricompensa, manifestantesi sotto forma di emolumento mensile, delle parole stese in forma d’articolo. Lo stile non manca loro, per cui (come direbbe forse di molti, sicuramente di alcuni fra loro, Indro Montanelli) possono metter giù anche l’elenco del telefono che i lettori li acchiapperebbero lo stesso; dunque, lascino in pace chi, bravo o meno che sia nel proprio mestiere, ha nel cuore un peso che, a oggi ed a tre gradi di giudizio dalla fine, si basa sul nulla. Lo aiutino a superare il momento, anche un falsissimo “tranquillo siam qui noi” funziona. Ché ad infierire non si fa bene. mai.

"Franco Canciani @MondoUdinese

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