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Elementare Udinese

Leggo, in un’intervista ad un quotidiano nazionale rilasciata qualche giorno fa, le dichiarazioni che Francesco Guidolin, Braveheart, ha messo in fila riguardo la sua carriera, la sua vita, le sue cose bianche e nere. Nessun problema, sia...

Franco Canciani

Leggo, in un’intervista ad un quotidiano nazionale rilasciata qualche giorno fa, le dichiarazioni che Francesco Guidolin, Braveheart, ha messo in fila riguardo la sua carriera, la sua vita, le sue cose bianche e nere.

Nessun problema, sia chiaro. Io rispetto tutti, e per Francesco mi sono preso pubblici rimproveri da parte di colleghi ben più quotati di me, riguardo l’eccessivo rispetto che avrei nutrito per il conducatore di Castelfranco Veneto. Ciò a testimonianza della fiducia incondizionata, condìta da qualche lettera aperta in gran parte d’elogio, nelle quali mi sono prodotto negli anni.

Che qualcosa funzionava meno, nel rapporto (che egli stesso comunque giudica splendido) con il pubblico friulano, lo capii dopo il pari di Genova-rossoblu, quando si sperticò in lodi per il pubblico domestico.

L’ho sempre sostenuto: quell’ultima stagione fu un “di più” nel nostro rapporto col nostro allenatore. Avrebbe dovuto salutare, lo dico a costo di esser noioso, quella sera in cui brutalizzò la Strama-Inter a San Siro, quando l’Udinese ne segnava due ogni volta in cui la beneamata risollevava la testa.

Ed oggi leggo che non ne poteva più, lui, che pur non mostrando segni evidenti era arrivato oltre il limite. Ma soprattutto che crede di aver dato più di quanto ha ricevuto dall’Udinese.

Ciò forse sarebbe valso nel 1999, quando dopo una stagione splendor ricevette il benservito in estate, reo, Francesco, di essersi recato a Siviglia a discutere un ingaggio recisamente rifiutato. Ma non dopo le stagioni ultime, passate in bianco e nero. Talvolta in grigio.

Il buon Guidolin si è trovato in fuorigioco, come quando da attaccante di non eccellentissimo talento vestiva la casacca gialloblu veronese. Ma lo perdòno, perché a lui devo le ispirazioni più concrete per le cose, pur con tutti i miei limiti, più belle che son riuscito a scrivere.

E pensando a quest’intervista, guardo la costruenda Udinese di quest’anno, attendendo migliore sorte dalle prestazioni ufficiali di quanto le ultime uscite amichevoli abbiano mostrato. Soprattutto però mi trovo a pensare che l’Udinese, come e più delle altre formazioni di calcio, è elementare.

Inteso come scuola: una persona che di calcio ne sa ben più di me (so, non difficile ma questo può definirsi professore in tal campo) mi confessò come per lui Guidolin fosse un maestrino dalla penna rossa e blu, con cui correggere errori gravi o lievi dei suoi primini. Salvo però che per essi, per lui, non ci sarebbe mai stata la promozione alla seconda: gli avrebbero venduto i migliori, stralunato la formazione principale e i subentranti principali, acquistato un discreto manìpolo di ragazzini e costretto, lui, ad andar ancora una volta di matita blu e rossa sugli errori della sua prima classe.

Inteso come concezione di squadra: per molti il calcio è sport atomico e democritéo, cioè quasi esclusivamente di squadra, dove non contano poi così tanto gli individui quanto l’amalgama (quello vero, non quello del povero Massimino). A Udine non è così. La squadra è sempre vissuta su grandi giocatori, se non in assoluto almeno nel particolare, in assenza dei quali è risultato impossibile vedere gioco e spettacolo. Financo il 3-4-3 leggendario di Zaccheroni sarebbe naufragato senza quei giocatori che si è trovato a disposizione. L’Udinese non è squadra da uomini mediocri, ed in presenza di questi i risultati sono quelli visti nelle ultime stagioni. È questo l’unico appunto che posso muovere alla società. Mi spiego.

Elementare come il rapporto fra dirigenza e tifoseria bianca e nera. I Pozzo lo hanno capito, non sono sprovveduti: qui il pubblico è simile a quello del teatro: esigente, ipercritico, spesso incontentabile come Giampiero Albertini . Talvolta anch’io considero le reazioni eccessive, ma (come me) smaniano per un giocatore che mostri pugna, ma soprattutto eleganza e classe. Non si è mai preteso una linea d’offesa con Messi, CR7 e Neymar, ma almeno un paio di giocatori con piedi sopraffini (sapendo che Totò non potrà giocare fino a settant’anni) vanno sempre inseriti. Punto.

Dopodiché invidio i solòni che riescono a trarre conclusioni dal calcio d’agosto, quando le squadre non sono sulla stessa lunghezza d’onda fisica, tattica e agonistica. Attendiamo solo qualche giorno e trarranno, trarremo il dado. Perché anche questa è una cosa del tutto elementare.

"Franco Canciani@MondoUdinese

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