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Il grande sogno e quella bacheca vuota

L’idea, anzi il progetto perché di questo si tratta, forse è solo una coincidenza che sia arrivata nella settimana che precede il derby col Verona, l’ultima provinciale a vincere uno scudetto. Poi sappiamo tutti come sia finita lo...

Monica Valendino

L'idea, anzi il progetto perché di questo si tratta, forse è solo una coincidenza che sia arrivata nella settimana che precede il derby col Verona, l'ultima provinciale a vincere uno scudetto. Poi sappiamo tutti come sia finita lo società: è l'eterna discussione che divide i tifosi friulani. Vincere? Bello, ma se poi si fa la fine del Verona preferisco rimanere così, in fondo Pozzo ci sta regalando già anni memorabili. 

Ed ecco, invece, spuntare il 'Grande  Sogno': nemmeno tanto segreto, auspicato, ma in fin dei conti da sempre coltivato dal Parò. Perché se l'anima commerciale e finanziaria del club è il figlio, il cuore è il padre che ha grandi idee, ma si è sempre scontrato con la realtà.

Quando qualcuno si chiede perché il calcio fallisce (vedi l'ultimo esempio la Roma eliminata dal City), la risposta non andata a cercarla chissà dove. E non crediate alla favola delle riforme annunciate da Tavecchio. Non è una rosa ridotta a fare di un club che sperpera uno virtuoso. Purtroppo si deve partire dalle basi, come ha scritto il ds Giaretta su queste pagine qualche settimana fa. Ovvero dalle strutture: tecniche e finanziarie. Quelle tecniche a Udine sono all'avanguardia, dai campi di allenamento adiacenti allo stadio (rarità perfino in Europa), passando per tutte quelle attrezzature tecnologiche che danno non solo un aiuto allo staff, ma lo rendono unico.

Poi ci sono le strutture finanziarie, frutto di anni di investimenti. Criticati, ma se analizzati profondamente ci si accorge che il modello è studiato perfino Oltremanica, dove di calcio ne sanno qualcosina in più di noi, nessuno lo neghi. Ma la critica, si sa, fa parte dell'essere tifoso: la società è andata avanti, ha tre squadre da gestire in campionati di assoluto valore (le squadre 'B' a questo punto sarebbero addirittura un optional), ha un patrimonio giocatori sparsi (circa un centinaio) che sfiora il valore di 550 milioni (cifre da Real Madrid sommate assieme), ha una rete di scouting unica per cui spende addirittura 20 milioni contro il milione che spende, per dire, la Lazio. Certo ora che le comproprietà non ci sono più il mercato dovrà rivedere certe tattiche, le plusvalenze saranno forse minori, ma lo saranno per tutti.

Poi c'è lo stadio, che nei progetti sarà il valore aggiunto: il sogno di Pozzo si concretizza con la sua realizzazione e da qui partono i sogni.

Aumentando i ricavi si possono aumentare gli ingaggi. Con  ingaggi maggiori, una città tranquilla come Udine per chi è ambizioso, può diventare un punto d'arrivo e non più di partenza. Cose che da anni sognavo di sentir dire e finalmente sono state dette non a caso, ma nella conferenza di fine anno, come fa Agnelli, un business plan chiaro, lucido, pianificato.

Poi con uno stadio pieno non si sentirà più qualche giocatore dire che sembra di stare a teatro, il catino pieno è fondamentale: chi ha giocato a Torino lo dice sempre. LO stadio è il dodicesimo uomo solo se riesce a trasmettere qualcosa.

Qui entra in ballo anche la nuova politica, atta a rendere squadra, tifosi e media un tutt'uno: Stramaccioni è stato preso anche (non solo però..) per questo. E' uno stratega della comunicazione, ma quando parla di friulanità non lo fa per aggraziarsi simpatia. Lo fa perché è un valore che sa che è fondamentale da queste parti, che l'Udinese è la bandiera di una terra e per troppo tempo è mancato il vento giusto a sventolarla alta e maestosa. I friulani voglio identificarsi con la squadra attraverso il carattere che dimostra: grinta, cuore, voglia sempre di rialzarsi anche dopo le botte più dure. Questa è la nostra tera, questa è l'Udinese che vuole nascere.

Elegante, ma col cuore operaio perché le origini non si perdono. E' giunta l'ora, insomma, che la classe operaia possa andare in paradiso. O almeno tentare di farlo. L'idea di Pozzo è questa. E dopo anni di quaranta punti, si potrà alzare l'asticella, certi che l'esempio del Verona non sarà più toccato. Perché quella squadra era fortissima, ma la società dopo il tricolore si è dissolta in passi più lunghi della gamba. I friulani sanno che cosa fare e quando.

Il momento sta arrivando, sul come vedremo già dal prossimo anno come verrà fatto il mercato. Ma quelli di Pozzo non erano slogan: era la convinta speranza di lasciare un segno che vada al di là dello stadio in una città che lo vede protagonista da 30 anni, ma che al di là di tutto quello che ha fatto ancora viene considerato un grande manager. Forse questo lo ha mosso a far capire che dietro all'aspetto economico c'è un cuore che sogna, desidera, spera, come quello di tutti i tifosi. Perché quella bacheca vuota che viene ironizzata spesso gli rode. Tanto. Più di quanto chi non lo conosce possa credere.

"Moval©Mondoudinese

 

 

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