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L’Udinese e i Tempi Moderni nel calcio

Tempi Moderni fu un film epocale  di Charlie Chaplin, molto citato ma non poi così tanto visto. Metà degli anni trenta, non è comico a sé stante ma mette a nudo i lati oscuri della società: lavoro meccanicamente ripetitivo, droga,...

Franco Canciani

Tempi Moderni fu un film epocale  di Charlie Chaplin, molto citato ma non poi così tanto visto. Metà degli anni trenta, non è comico a sé stante ma mette a nudo i lati oscuri della società: lavoro meccanicamente ripetitivo, droga, sfruttamento, omosessualità (latente). Questa pellicola fu una delle cause per le quali William Hays riscrisse le regole d’ingaggio nei film dell’epoca, quella che briosamente si chiamò codice Hays ma in effetti si lesse censura.

Tempi moderni mise a nudo quel che si sapeva, ma di cui nessuno parlava: per convenienza, decenza, timidezza, paura. Finché qualcuno, un britanno creativo e geniale, spezzò il sipario di carta di riso: e si vide sul grande schermo, il medium dell’epoca, quanto succedeva ogni giorno a milioni di persone. Nulla fu più lo stesso.

Non sono pazzo. Beh, non più del solito.

Prima la trasmissione Report poi un’indagine a tappeto della magistratura milanese hanno iniziato a mettere a fuoco il mirino su quella congerie di traffici, non necessariamente illegali, che legano il consulente della Lega calcio per i diritti televisivi, un faccendiere a questi vicino, le società di calcio, i dirigenti ganassa e quelli che veramente determinano le situazioni lassù, in alto.

Oggi leggo le dichiarazioni di addetti ai lavori e semplici conoscenti: “sono tranquillo e sereno”, “sono rattristato”, “un plauso alla Magistratura, ché faccia il proprio corso e ci liberi dalle mele marce” (detto da persona diciamo andata qualche anno oltre la normale maturazione). E ancora “paghino i responsabili”, “Juve me**a” (c’è sempre il cerebroleso in un gruppo di persone), eccetera.

Io sono sorpreso: dove gira più di un miliardo di euro, dove il paese di destinazione dei capitali è l’Italia, è impensabile che corruzione, favoritismi, malegestioni siano eccezioni e non invece la regola.

La verità, purtroppo, l’ha detta il sedicente proprietario della Samp-e-Doria, tal Ferrero, ex autista di Monica Vitti. Con la solita loquela oratoria, avrebbe affermato, il nostro ineffabile presidente: “se succede quarcosa ai diritti televisivi, er carcio se ferma”. Solo che lui lo afferma con terrore, io con speranza.

I grandi club europei percepiscono fiumi di denaro dalle televisioni in chiaro e a pagamento, fette di torta da indigestione che le società mettono a bilancio in via preventiva. Detto ciò, difficilmente (leggendo i bilanci dei club francesi, spagnoli, inglesi) si supera il 32% (Barcellona meno del 30%). Un buon terzo del totale dei proventi arriva dal merchandising (questo sconosciuto in Italia), il resto sono incassi da stadio.

In Italia invece tali diritti ormai pesano in alcuni casi per il 60-65% del totale delle attività; il merchandising rappresenta un 10%, il terzo rimanente viene dai campi di gioco.

Sarebbe come dire che un’azienda di tipo produttivo potesse vivere solo se due terzi dell’attivo fossero rappresentati da contributi esterni, e non direttamente dalla qualità del prodotto.

Lo so: la Vostra obiezione sarà sicuramente imperniata sul fatto che i diritti tivù sono proporzionati all’appetibilità del club in questione. Infatti io non sìndaco sull’entità della dazione di Murdoch o dei Berlusconi, ma solo sulla percentuale che questa rappresenta in seno al bilancio societario.

Report ha avuto l’indubbio merito di infilare il dito medio nella ferita sanguinante di un calcio, quello italiano, mediocre e scadente in peggio, ogni stagione che passa. Lotito lo aveva vaticinato: lui che si ritiene il padrone del vapore temeva l’arrivo in massa delle piccole società in massima serie, cosa puntualmente avvenuta. Io però sono uno dei fautori del respiro di Dio, quello che alita sulla capoccia china e al solito cappellaccio-dotata di Indiana Jones nella sua terza avventura, inginocchiatosi penitente onde evitare una divina lama che l’avrebbe decapitato. Ormai è tempo di distinguere, in massima serie, gli Harrison Ford dai nazisti idioti che si faranno cogliere in fallo.

Ma c’è una squadra, in particolare, nella nostra serie A, il cui gerente se ne sta bel bello a godersi lo spettacolo. Coi popcorn in mano e i piedi sulla sedia davanti a lui.

In diversi articoli abbiamo, e lo rifaremo, sottolineato l’incongruità terribile della campagna acquisti e vendite dell’Udinese calcioessepià, che ha inevitabilmente depauperato il tasso tecnico della squadra con alcune non-scelte sanguinose. Non seguo chi continua a mettere nella stessa cesta le tre formazioni europee controllate dai Pozzo, esercizio sterilissimo e vano, anzi utile solo a farsi del male (come se il Watford, poi, avesse acquistato Messi e CR7...). Ma da sempre continuo a professarmi pozzista dal punto di vista imprenditoriale. Per l’Udinese, messa com’è ora, l’introito dalle televisioni è utilissimo, graditissimo, ma nonnecessarioindispensabile. Altri compagnucci di parrocchietta tipo Preziosi debbono discolparsi con le autorità, adducendo pesanti salassi personali per appianare buchi di bilancio, quando tutti sanno quale fragilità societaria contraddistingua la prima squadra di Genova (o vogliamo pensare che il gran rifiuto di Sabatini su Iturbe sia stato determinato da scelte tecniche e non piuttosto dalla consapevolezza che credere di incassare 4 milioni subito e 11 a giugno sarebbe stato, diciamo, poco lungimirante?). Pozzo no. Se ne sta lì, magari un po’ ci rimane male se non scriviamo quel che desidera, magari avrebbe pensato di riempire il prezioso scrigno Sandero con ventimila presenze n’importe quoi, ma qualora dovesse passare la mano il subentrante troverebbe zero incongruenze e ancor meno criticità.

Insomma, sono questi i Tempi moderni del calcio di oggi: spettacolo in picchiata, agonismo sfrenato, malaffare dilagante come ben si conviene ad un microcosmo in declino psico-fisico,se mi passate il paradosso. Sono certo che fra qualche tempo tutto si diluirà, resterà qualche vittima sacrificale cui gli altri faranno il ditino quasi a dire che così non si fa, sospirando per lo scampato pericolo. Ecco perché, per la centesima volta, ribadisco che il mio calcio, il vecchio calcio, è differente. Lo so: c’erano gli scandali, non mi sono scordato di Trinca e Cruciani, del razzo a Paparelli; ma almeno negli stadi ci si divertiva con le giocate di uomini-campioni, vestiti di lanetta, eroi omerici ed impantanati non costretti, come oggi, ad indossare scarpe fluorescenti e multicolori, ed a calciare il pallone di Hello Kitty. Se poi, come già io ho ammesso, mi ritenete incongruo per questo, vabbé: me ne farò una ragione. Tenetevi Preziosi e Ferrero.

Franco Canciani @MondoUdinese

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