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Piccolo è bello: il new deal di Pozzo

Pozzo ha gettato il sasso, Alessandro Orlando ha ben sintetizzato il pensiero. Ma cosa significa uscire dalla provincialità, per l’Udinese? Il Paron, parlando con il cuore come spesso accade, ha sottolineato l’importanza del nuovo stadio di...

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Pozzo ha gettato il sasso, Alessandro Orlando ha ben sintetizzato il pensiero. Ma cosa significa uscire dalla provincialità, per l’Udinese?

Il Paron, parlando con il cuore come spesso accade, ha sottolineato l’importanza del nuovo stadio di proprietà per aumentare il fatturato e poter fare un (ulteriore) salto di qualità. Scrollarsi di dosso la provincialità significa ulteriore indipendenza economica dal sistema e, magari, portare un trofeo nella polverosa bacheca sociale. L’Udinese ha dei bilanci ottimi, certo, ma il grado di dipendenza dal mercato è alto. Con una posizione politica moderata e prudente è riuscita ad accaparrarsi non pochi diritti televisivi, ma l’Italia non è l’Inghilterra e la suddivisione si fa per bacino di utenza e potere politico e non per meritocrazia. Potrebbe sembrare la solita gestione dei furbetti, ma bisognerebbe fare un’analisi sulla varianza del bacino di utenza, comparando la massima serie delle due nazioni, prima di dare giudizi affrettati.

E quindi, quanto uno stadio di proprietà può portare introiti alla società? E quanto questi possono poi permettere una struttura dei costi più competitiva? Provo a formulare un’ipotesi verosimile. Lo stadio di proprietà significa meno costi d’affitto e più entrate. Diciamo una differenza annua non eccessiva, ma che potrebbe essere proficuamente reinvestita in stipendi. Ovviamente un sulla parte fissa; è un autentica follia che i contratti dei calciatori abbiano più parte fissa che variabile quando la variabilità dei risultati che da loro dipende può decidere l’eventuale gloria o il più probabile fallimento di una società di calcio. I maggiori ricavi potrebbero essere reinvestiti nei premi che la società pone a seconda dei traguardi. Si formerebbe un circolo virtuoso per il quale più vittorie corrispondono a più incassi allo stadio e questi corrispondono a più premi a fine anno per i giocatori. Per la società, inoltre, deriverebbe il moltiplicatore dei diritti televisivi, che in parte vengono calcolati sui biglietti venduti.

Se è questo che Pozzo e Orlando intendono per “perdita della provincialità” allora l’Udinese potrebbe diventare veramente una società all’avanguardia. Thompson, uno dei più grandi studiosi delle organizzazioni, aveva teorizzato l’importanza per un’impresa di rendersi autonoma ed indipendente il più possibile dall’ambiente esterno e dalle incertezze interne. L’Udinese come ho già detto dipende dal mercato, primariamente nazionale (e quindi risente della forte crisi di liquidità italiana) e negli ultimi anni ha constatato per due volte come sia vincolante anche la principale fonte di incertezza interna, lo spogliatoio condizionato da desideri di emigrare, prendere più soldi e “umori” dei procuratori. Le entrate dal nuovo stadio non risolverebbero il problema economico di questa dipendenza, ma attenuerebbero di certo i rischi derivanti dalla gestione dello spogliatoio, rendendo i calciatori veramente imprenditori di se stessi. Per quello che riguarda il mercato invece, la società potrebbe evitare conflittualità con gli agenti dei giocatori.

Rimane solo un problema, in tutto questo. Come diceva Georg Simmel le organizzazioni, le imprese, hanno a che fare con l’aspetto motivazionale dei loro attori (i calciatori, in questo caso). Esistono vari cerchi sociali (famiglia, città, amici, altre società di calcio) ai quali i soggetti rispondono, sui quali proiettano speranze. La cittadina di Udine e lo stipendio a premi che i Pozzo potrebbero offrire, riuscirebbe a vincere le resistenze di mogli, procuratori ed altre città più alla moda?

Udinese è provinciale e lo rimarrà, nessuno stadio renderà la società come le metropolitane. Certo però che si potrebbe tracciare una strada per gestire meglio lo spogliatoio e motivare ulteriormente i giocatori alla vincita di un trofeo. Tanto per dirla breve: non è che la Coppa Italia la vinci solo perché motivato economicamente, ma è più facile che la squadra arrivi a giocarsi la finale se da questa dipende buona parte del suo stipendio.

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