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Il più grande di tutti l’ha avuto l’Udinese

Non ce ne abbiano gli altri, ma il più grande di tutti ha vestito la maglia all'Udinese e si chiama Zico.

Monica Valendino

Il calcio, quello che le nuove generazioni hanno forse dimenticato o ancora peggio nemmeno visto,  aveva una sua prerogativa: i numeri avevano un significato. Non c’era il nome stampato dietro a ricordare chi era questo o quel calciatore, bastava guardare i numeri. E il simbolo che portavano davanti alla maglia era più importante di tutto, ma quel numero aveva una valenza che quasi tutti si portavano dietro da quando erano bambini. George Best e quel magico 7 stampato, come Bruno Conti. Un numero magico che molti ambivano, ma non tutti ottenevano.

Ma nel calcio il numero che, nonostante i tempi, è rimasto intatto per importanza è un altro: il 10. Oggi offuscato da quel nome impresso sopra, ma con un significato sempre uguale: chi lo porta deve ostentare estro, genialità, fantasia, inventiva e anche gol.

E a Udine il 10 ha un nome ben preciso: Zico.  Partiamo da una frase: “un direttore di partite. Gli hanno dato la maglia numero 10 di Pelè e se l’è infilata senza problemi: aveva un’autorità da grande. Un tipo sensazionale e un giocatore fantastico”. La frase non l’ha detta un suo compagno di squadra o un giornalista che voleva descriverlo. L’ha detta Diego Armando Maradona, il suo rivale di sempre in quegli anni ’80 pregni di talent e numeri 10 importanti. Una frase che sintetizza tutta la grandezza di Zico e il rispetto che ha saputo ottenere da tutti. Un rispetto nato dalla sua introversione che diventava estroversione in campo. Fuori una persona come tante. Amava fare almeno una volta alla settimana una grigliata a casa sua con i compagni di squadra, una tradizione continuata anche a Udine, dove i più giovani a vedere questo lato umano rimanevano scioccati. La grandezza di Zico era anche questa: saper rendere normale la sua unicità, non voleva essere visto come un marziano, estraniandosi dal gruppo, ma voleva insegnare ai compagni cosa fare, passava anche ore a far capire a Daniele Pasa – allora giovane considerato sue erede – come tirare le punizioni. Le grigliate erano un modo per fare gruppo, perché Zico credeva fermamente non nella giocata del singolo, ma nella forza della squadra

Che anni: i più grandi di tutti a giocare in Italia. E quella frase detta nel 1982, oggi risuona ancora più come una profezia tristemente avveratasi e che è sotto gli occhi di tutti. Ma Zico è anche altro: il suo arrivo in Italia, con Cerezo, era visto da fuori il Friuli quasi come un affronto: la classe operaia non può andare in paradiso. L’ingaggio fu osteggiato, fu lotta e solo il presidente Pertini sbloccò una situazione assurda. a suo modo, con una frase semplice come lui: “Perché un bravo ragazzo non può venire in Italia?”.  Solo poco prima, in anni in cui la Lega era un oggetto misterioso in Friuli, l’orgoglio di questa terra venne fuori, tonante e scrosciante come un monsone con un cartello. In una piazza gremita si scrisse ‘O Zico o Austria’. Fece storia, ma non era una minaccia, era un’intenzione vera, sentita. Sentita come le parole di Zico che quando gli chiesero perché ha scelto Udine e non una grande ha risposto a suo modo: “perché vincere a Udine ha un sapore diverso. Alla Juve o chi per lei se vinci sei ricordato come uno dei tanti, in Friuli no”. E lui con quel capello da alpino in testa, con questa frase fece sì che nessuno, prima e dopo, abbia mai incarnato lo spirito friulano, che non è dimesso come qualcuno vorrebbe far passare, ma orgoglioso e ambizioso seppur sempre con umiltà.

“Dopo Pelè il migliore è stato Zico”: ecco, siamo quasi alla fine di questo racconto, con la frase detta dal Kaiser Rumenigge. Un’altra incoronazione che spiega perché a Udine oggi non è nostalgia parlare di Zico, ma è parlare di una storia, della storia. Del calcio, che ha scelto la piccola squadra bianconera rinunciando ad altri. Molti in seguito gli hanno rinfacciato questo: se fosse  andato altrove avrebbe vinto chissà quanto. Ma lui non ha mai ripudiato la scelta fatta, nonostante lo stato abbia fatto pagare a li e all’Udinese il fatto di voler alzare la testa. Una ingiustizia rimangiata dai tribunali solo anni dopo, ridando il giusto onore a una persona che sull’onore ha costruito la sua carriera e la sua persona. Quando Maradona, rieccolo, a Udine segnò con la mano, Zico a fine gara si prese sette giornate di squalifica per la sua sincerità: “Se sei un uomo ammetti di aver segnato con la mano – gli chiese -. Noi ci alleniamo una settimana per fare bene la domenica, non è possibile perdere per un gol di mano che tutti hanno visto tranne l’arbitro”. Ecco chi era Zico, ecco perché portava il numero 10. E chi ha vissuto quei tempi ricorderà che spesso portava i suoi figli a giocare nei pacchetti cittadini come un qualunque papà. Calciando il pallone verso di loro, ma senza pensare che avrebbero dovuto diventare come lui. Non per arroganza, ma perché ha sempre rispettato tutti, anche i figli e le scelte che avrebbero fatto da grandi. Con il pallone che, comunque, rimane sempre per lui una sfera magica.

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