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Il “quattro” da Leonida a Valerio

La maglia numero quattro. Nonostante apparentemente non sia una delle più ambite, all’Udinese è decisamente significativa per merito di alcuni protagonisti che l’hanno indossata negli ultimi quarant’anni o giù di lì. Permettetemi di...

Franco Canciani

La maglia numero quattro. Nonostante apparentemente non sia una delle più ambite, all’Udinese è decisamente significativa per merito di alcuni protagonisti che l’hanno indossata negli ultimi quarant’anni o giù di lì. Permettetemi di ignorare amabilmente i cari Pazienza e Naldo, e di dare un accenno a due moderni per concedere spazio invece alla storia bianca e nera.

Di cui fa solo parzialmente parte Gaetano d’Agostino, uno dei più bei piede sinistro della sua generazione, fosforo e tecnica ma poca volontà di rimanere. Dopo la parentesi bianconera, durante la quale si vociferò di interessamenti galattici alle sue prestazioni, o forse proprio a causa di queste voci fu quantomeno deludente, fra Fiorentina, Siena e ben poco d’altro.

Di cui fa ancora meno parte Gioàn Cuadrado, peraltro ingiustamente bocciato da Guidolin per un-errore-uno che costò la sconfitta contro la Roma, una sera d’aprile. Oggi è diventato gran bel giocatore, ancorché parzialmente simpatico.

La storia, invece, la comincio dal signor Valentino Leonarduzzi. Ereditò la fascia rossa da capitano da Elio Gustinetti quando questi fu ceduto al Foggia, al termine della prima, fantastica cavalcata dalla C alla A. Elegante come pochi, mai sopra le righe in campo o fuori, non ne ricordo interventi meritevoli di cartellino; all’alba dei ventinove anni viene ceduto al Lanerossi, quando finalmente in A ha disputato cento e più gare con la casacca bianconera (due nel primo, sfortunato-fortunato campionato in massima serie). Leonida si farà poi apprezzare nella vicina Trieste, quando il sedeglianese deve affrontare anche la dolorosa perdita della cara, altrettanto giovane moglie. Uno dei rari momenti in cui due tifoserie storicamente rivali si abbracciarono e abbracciarono Valentino per far sentire vicinanza e gratitudine.

Veneziano ma friulano d’adozione è Manuel Gerolin, cursore di tempra e tecnica, che per oltre centoventi volte indossò il bianconero. Ovviamente storico lo slalom su Krol e compagni a realizzare il gol della vittoria-salvezza suol Napoli, 1981; centrocampista di supporto a Zico e compagni nelle annate più gloriose dell’Udinese anni ottanta; lasciò nel 1985 alla volta della capitale, sponda giallorossa, ove rimase sei anni prima di chiudere carriera e baracca al Bologna.

Nella bella storia bianca e nera anche un altro friulano, Fabio Rossitto. L’avianese col quattro segnò una rete incredibile all’Inter e nel 1996 fu anche convocato agli Europei d’Inghilterra da Arrigo Sacchi. Carriera brillante che continuerà con Napoli e Fiorentina fra le altre.

E il capitano? Valerio Bertotto, valente difendente torinese, arriva a Udine e se ne va solo quando lo prendono metaforicamente a calci. È più friulano lui di tanti enfant du pays nati qui; è più affezionato capitan Valerio alle cose bianconere di mille ipercritici sostenitori locali. Di lui ricordo mille battaglie assieme: la rete al Parma, ancora nel 1993; la fascia insanguinata di Lisbona; la difesa strenua di compagni e colori; la fascia da capitano indossata, brandita con orgoglio anche quando un infortunio gravissimo rischia di stroncarne la carriera. Ma lui è Bertotto Valerio, il capitano col quattro sulle spalle, la cui camiseta-prima-qualificazione-Champions campeggia al ristorante San Daniele di Londra, UK.

Uomini in bianco e nero, giocatori che hanno retto sorti e maglietta oltre ogni difficoltà e con l’orgoglio che solo alcuni colori possono dare. Forse un calcio che non esiste più dal punto di vista delle cronache, ma che sopravviverà alle miserie attuali grazie ai dagherròtipi sgranati che molti fra noi custodiscono nelle pieghe della propria memoria.

"Franco Canciani @MondoUdinese

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