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Domizzi: “Di Natale e Sanchez i due attaccanti più forti con cui ho giocato”

L'ex giocatore bianconero si è raccontato a Itasportpress

Redazione

Da un anno Domizzi ha appeso gli scarpini al chiodo, ma continua a trasmettere alle nuove generazioni la sua notevole esperienza, come ha raccontato in esclusiva a Itasportpress.

Maurizio, come stai? In che modo hai trascorso quest’ultimo periodo?

“Fortunatamente bene. Sono a casa da diverso tempo. Si inizia a essere stanchi di questa situazione. Nel momento in cui qualcosa ripartirà, sarà comunque ben lontano dalla normalità. Chi ha vissuto sempre di calcio soffre particolarmente, dato che ora non ci sono le partite. E poi in questo periodo abbiamo continuato ad allenare i ragazzi dell’Under 17 della Reggiana, per quanto possibile ovviamente”.

Quando hai deciso di diventare allenatore?

“Da subito. Quando ho smesso di giocare, avevo già quell’obiettivo. Ho fatto il corso a Coverciano. Avevo le idee chiare fin da subito. Avrei dovuto fare anche il corso per il patentino Uefa, ma adesso è tutto fermo. Non si sa se si svolgerà o meno a settembre. È difficile davvero difficile programmare tutto in questo momento. Noi tecnici non sappiamo se avremo deroghe particolari”.

Rispetto a quando hai iniziato la tua carriera da professionista, il calcio è cambiato moltissimo. Come valuti questa trasformazione?

“In generale si è cercato di uniformare tutte le correnti tattiche europee. Prima ogni paese aveva una sua filosofia. Adesso ci sono quei modelli particolari e ognuno cerca di copiarli. È un cambiamento anche in senso positivo: ora in generale c’è più coraggio. In Italia ci siamo un po’ europeizzati, giocando con più spregiudicatezza. In Europa, invece, chi ci ha sempre dato contro per l’impiego della difesa a tre, ora, tende a utilizzarla frequentemente”.

Quando sei arrivato in Friuli ti saresti mai aspettato di riscrivere la storia della società della famiglia Pozzo?

“Si capiva che era una squadra con un potenziale tecnico enorme. Logicamente all’inizio eravamo gli stessi ma con tre o quattro anni in meno in termini di esperienza. Siamo riusciti con un gruppo così giovane a tenere quel livello per quattro stagioni consecutive. Battemmo tutti i record della storia dell’Udinese. Siamo stati straordinari a ottenere simili risultati per tanti anni di fila, nonostante le cessioni illustri”.

Sicuramente per un difensore come te non dev’essere stato complicato preparare le partite dopo aver affrontato campioni come Di Natale e Sanchez per tutta la settimana.

“Assolutamente, allenarsi con loro era impegnativo, ma anche bello soprattutto perché erano compagni e almeno non dovevo ritrovarmeli contro in partita (ride ndr.). Di Natale e Sanchez sono stati i due attaccanti più forti con cui ho giocato insieme a Lavezzi”.

Com’era la convivenza in quel gruppo così speciale?

“Era tutto bello e particolare. Si era formato un gruppetto molto solido composto da cinque giocatori, tra cui anche Andrea Coda e Giovanni Pasquale. Era diventato un rapporto che è andato oltre il campo perché c’era una forte amicizia”.

Se ne avessi l’opportunità, ti piacerebbe rigiocare una partita, magari per cambiarne il risultato finale?

“L’unico vero rammarico della mia carriera è la semifinale di Coppa Italia contro la Fiorentina nel 2013/14. Vincemmo 2-1 in casa, ma perdemmo a Firenze per 2-0. Colpimmo anche un legno nel match di ritorno che avrebbe potuto far girare l’incontro a nostro favore. Insomma una gara andata male. Mi è rimasto il gusto amaro di aver perso la possibilità di giocare una finale portando un’intera città come Udine a lottare per un titolo. Le sconfitte ai preliminari di Champions non mi avevano fatto così male, anche perché ci poteva stare un risultato negativo. In Uefa il cammino è lungo e non è semplice non accusare giornate difficili. Certo, fa male anche il ricordo dell’eliminazione contro il Werder Brema nel 2009, ma non lo paragonerei alla semifinale contro la Fiorentina”.

L’Atalanta sembra aver seguito la strada dell’Udinese nel ruolo di outsider, diventando una presenza stabile nelle posizioni di vertice. È un paragone legittimo o ci sono differenze tra i due casi?

“Credo sia un paragone legittimo, almeno per come sono nati i due percorsi. Entrambi i club sono stati grandi rivelazioni. Poi però le società, per scelta e non per casualità, hanno cambiato strada: l’Udinese ha proseguito su quel modello che l’ha resa famosa, lanciando giovani talenti. L’Atalanta, invece, è riuscita ad alzare il tiro. Ha comprato giocatori pronti e questo le ha permesso di mantenere il suo livello, arrivando anche a migliorare. Bisogna dire che sono cambiati anche i nerazzurri: non sono più la squadra giovane vista qualche anno fa. Ora la Dea è un club attrezzato per stare in alto”.

A Udine hai trovato due attuali protagonisti del ciclo atalantino: Duvan Zapata e Luis Muriel. Ti aspettavi che fossero così validi quando li hai avuti come compagni di squadra?

“Sì. La differenza tra Duvan Zapata e Muriel sta nella precocità con cui si mette in evidenza il proprio talento. Muriel ha mostrato il suo potenziale molto prima di Duvan e più velocemente. In molti si aspettavano che sarebbe cresciuto ancora, ma non tutti sono destinati a migliorare ulteriormente. A volte si raggiunge il massimo già a 25 anni. Zapata, invece, andava semplicemente ‘rifinito’, aveva bisogno di più tempo per emergere. Non tutti i giocatori hanno la stessa storia”.

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