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Il coraggio di cambiare

E, molte volte, garantire un futuro ad una societa’ di calcio significa avere la capacita’ di leggere tante situazioni, trovando, quando serve, il coraggio di cambiare.

Sergio Salvaro

A distanza di poco piu’ di un mese, l’Udinese torna ad essere protagonista di uno dei due posticipi serali del lunedi’. Contro il Torino, lo scorso 31 ottobre, si era giocato alle 19.00, stavolta la gara dello stadio “Friuli/Dacia Arena” tra bianconeri e Bologna, con il suo orario di inizio fissato alle ore 21.00 va a chiudere il ricco menu di questo lungo week-end iniziato gia’ venerdi’ col successo del Napoli sull’Inter per 3-0. La sfida di questa sera giunge all’interno di contesto intrecciato e del tutto particolare. Innanzi tutto viene dopo la sconfitta di Cagliari, rovinosa quanto basta per il modo con il quale e’ maturata e per quel poco che (per ora, e a nostro modestissimo parere) ne e’ conseguito, ovvero la decisione di far scattare il ritiro pre-partita con ventiquattro ore di anticipo rispetto a quanto avviene nel tradizionale programma che precede un nuovo impegno di campionato.

Una decisione che ha visto la societa’ assumere un attegiamento che definiremmo compromissorio, e strettamente legato a quanto era gia’ stato calendarizzato da tempo ad Udine. Il brutto stop del Sant’Elia ha finito infatti con l’incrociare i festeggiamenti per i 120 anni per la nascita del sodalizio friulano: sarebbe stato malinconico essere costretti a mischiare tali celebrazioni con una squadra in perdurante ritiro, lontano dalla propria gente, per una settimana. E, visti i tempi, qualora quest’ultima decisione fosse stata assunta di fatto, chissa’ come sarebbe stata accolta dal....gruppo. Giunti a questo punto del nostro intervento settimanale, l’uso dei punti di sospensione viene fatto con quel minimo di imbarazzo manifestato da chi rimane dubbioso di fronte al dilemma del considerare o meno quello dell’Udinese un vero gruppo, specie se consideriamo quanto di altrettanto imbarazzante, dal punto di vista dello stare in campo e dell’interpretazione della fase difensiva, si e’ stati costretti a vedere in Sardegna nell’ultimo turno.

Si e’ assistito alla proiezione di un horror collocato in fascia pomeridiana con sceneggiatura ed interpreti ben definiti: disimpegni e tattiche del fuorigioco mal orchestrati dai vari Wague e Danilo, centrocampo incapace di fare filtro e rifornire le punte; un centrocampo del quale Kums, dopo qualche timido segnale di ripresa nelle ultime settimane, e’ tornato ad essere una figura tragica. Per finire con la cosiddetta “prima linea” che, pur se non assistita dal resto della squadra, ci ha mostrato un Zapata impalpabile dato che il colombiano, oltre a non pungere, non e’ nemmeno riuscito a presentare il classico giustificativo delle difese portate “a spasso”, e che Matos, al solito poco o per nulla determinante, dopo essere stato sostituito e’ stato colto dalle telecamere nel pieno di una rilassatezza da panchina ritrovata, fatto che nel novero di un gruppo vero, che si rode il fegato per una sconfitta che stava maturando e per come stava maturando, ovvero figlia delle perduranti (e speriamo a questo punto non eterne) sciocchezze difensive, non avrebbe avuto ragion d’essere. Gigi Delneri, in questo quadro che trasmette disagio, sembra rimanere l’unico a stare costantemente lucido, sul pezzo, consapevole del fatto che si debba trovare il coraggio di cambiare, per il momento attingendo a cio’ che la rosa offre, anche a costo di passare attraverso esclusioni per cosi’ dire “eccellenti”. Perche’ il tempo passa, e nel tourbillon del nostro campionato, nel quale la Juventus continua a primeggiare, Roma e Napoli continuano a rincorrere, altre squadre alternano campionati all’insegna dell’impace a stagioni durante le quali il trend e’ in risalita.

Ci sono poi il Torino, ma soprattutto l’Atalanta a confermare che nel calcio del nuovo millennio, caricato sulle spalle dei fondi internazionali o di tycoon cinesi veri e presunti, la via della sopravvivenza ad alti livelli e chissa’, di una possibile affermazione, passera’ attraverso la valorizzazione della meglio gioventu’ nostrana. Di fronte a questi scenari, Palermo, e soprattutto Udinese, rappresentano il volto uguale, e nemmeno tanto diverso, di club che da almeno un quadriennio hanno imboccato il tunnel di una crisi della quale si annuncia sempre una fine che nei fatti poi inon arriva. Pozzo e Zamparini, due friulani disposti un tempo ad investire nel pallone soldi ed idee, pronti a creare una rivalita’ personale che ha finito per riverberarsi in positivo nelle societa’ da essi guidate, e che ora dimostrano una sorta di impaccio a causa di dinamiche nuove, e di un mondo del calcio che nelle sue espressioni economiche piu’ ricche, li ha copiati ed imitati, impedendo loro, per ovvie questioni di budget, a non potersi spingere oltre rispetto a quanto stanno attualmente compiendo. Zamparini di un vento che sta cambiando e della necessita’ di rivedere piu’ di qualcosa si sta lentamente rendendo conto, tanto da aver intavolato trattative per la cessione del Palermo attraverso l’interessamento di cordate straniere. Ad Udine invece, le politiche societarie determinano una situazione di un club che da quattro anni pare aggrovigliato su se stesso.

Da quattro anni i risultati sono molto al di sotto delle aspettative, figli di rose non sempre all’altezza. Quando vedi che le cose non vanno, bisognerebbe cambiare. Il problema e’ che i giocatori, ci pensino o meno i procuratori ad ergersi a curatori dei loro interessi personali, se non sono protagonisti di buoni campionati, finiscono per non avere mercato. La societa’ tenta di tutelarsi e di non perderci un euro prolungando i contratti. Ma cosi’ il tempo passa, le squadra rimane negli anni le stessa, i giocatori salvaguardano lo stipendio, ma finiscono per cogliere come normale un immobilismo che non contribuisce in alcun modo alla ricerca del successo, al tentare di coltivare una qualche ambizione. La fame di bel gioco e, conseguentemente, di risultati di un pubblico che, bonta’ sua, continua a gremire uno stadio gioiello, non viene recepita dai giocatori. Ed in un clima non esattamente idilliaco ma all’interno del quale si incrociano le celebrazione per i 120 anni di storia bianconera, la societa’ ragiona a modo suo, e approfittando delle circostanze, cerca di ammaliare i tifosi provando a rendere l’attuale boccone meno amaro. Tradotto: la squadra di oggi non vi fa luccicare gli occhi? Niente paura, scatta l’operazione amarcord. Ed e’ cosi’ che prima di Udinese-Bologna, partita di estrema importanza che in un modo o nell’altro l’undici friulano dovra’ cercare di far suo, il pubblico potra’ ripensare ai tempi che furono, ai tempi dei trionfi, rivedendo in campo la creme de la creme in termini di giocatori che in un passato piu’ o meno recente hanno reso grande questo club. 120 anni di storia, di campioni italiani e stranieri forniti al grande calcio di casa nostra non sono poca cosa e vanno onorati.

Ma per la sopravvivenza in un mondo complicato come quello attinente la gestione di una societa’ di calcio, la continuita’, o per meglio dire l’esistenza di un club si concretizza se vi sono le basi per garantire un futuro, ancor prima del doveroso riconoscimento ad un glorioso passato. E, molte volte, garantire un futuro ad una societa’ di calcio significa avere la capacita’ di leggere tante situazioni, trovando, quando serve, il coraggio di cambiare.

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