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Zaccheroni ancora a Udine? Mai dire mai!

Zaccheroni: "Io ancora a Udine? Nel calcio ho imparato a non escludere mai nulla, ma tendenzialmente sono propenso a non ritornare nelle piazze dove ho già lavorato. Io adoro l'Udinese, quella squadra è il mio orgoglio, giocavamo a memoria"

Redazione

Zaccheroni e l'Udinese, anzi il Friuli: un amore mai assopito. Domenica, contro l'altra 'sua' squadra, il Bologna, non ha voluto mancare  dal Messaggero Veneto ha raccontato le sue emozioni. «È stato rinnovato, ma è sempre il mio stadio. La tribuna è quella, i tifosi gli stessi. Mi ero emozionato quando ero venuto a commentare Italia-Lichtenstein. Ho giocato negli stadi più famosi del mondo, ma questo mi dà la sensazione di calore, accoglienza. Cosa avrebbe fatto la mia Udinese in questo Friuli? La vicinanza del pubblico al terreno di gioco aiuta, ma la mia ultima Udinese in casa vinceva talmente tanto che era difficile fare meglio».

Poi entra nei dettagli della sua esperienza, Amoroso in primis: «Sulla considerazione che avevo di Marcio ho sentito tante imperfezioni. Premesso che non lo conoscevo e che a Udine, come tanti alti, lo ha portato Gino Pozzo, io sostenevo solamente che non poteva fare il trequartista. Aveva questa straordinaria velocità abbinata a un controllo di palla orientato e una tecnica straordinaria. Lui ormai aspettava solo di andare via, poi è arrivata quella famosa partita con la Fiorentina: Clementi si fece male durante il riscaldamento e giocò lui. Lui fu presentato in piazza San Giacomo e gli consegnarono la maglia numero 10. Il problema era che quella era di Stroppa. Gino Pozzo mi disse che nella clausola era stato stabilito che Marcio avrebbe dovuto avere la 10 altrimenti il contratto poteva essere annullato. Parlai con Causio e gli dissi: "Franco, tu che sei stato il più grande calciatore italiano che numero avevi? Il 7 appunto. Convinci Amoroso che in Italia il 7 è più importante del 10". Come è andata a finire lo sappiamo tutti».

Poi i ricordi sulla gara storica contro l'Ajax: « All'andata regalammo il primo tempo perché non eravamo abituati a questo tipo di partite. A dieci minuti dall'ingresso in campo nove giocatori andarono in bagno. Al ritorno io non entro mai in campo prima della partita. Quella sera lo feci e mi trovai di fronte 42 mila bandierine bianconere. In quell'immagine c'era tutto l'orgoglio friulano. Ho 66 anni e quella - conclude con gli occhi lucidi - rimane l'emozione più grande della mia carriera».

Infine una profezia: «Io ancora a Udine? Nel calcio ho imparato a non escludere mai nulla, ma tendenzialmente sono propenso a non ritornare nelle piazze dove ho già lavorato. Io adoro l'Udinese, quella squadra è il mio orgoglio, giocavamo a memoria. Vorrei fare domani una partita con quei ragazzi, giocherebbero ancora a occhi chiusi. Per il semplice motivo che è stata la creatura di tutti, perché tutte le componenti hanno portato il loro contributo: la società che ha scelto i giocatori in primis, poi l'allenatore, i giocatori, l'ambiente».

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