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Solo a Udine Totò poteva arrampicarsi a quota 200 Meglio di lui solo CR7 e Leo

Il numero è grande, enorme, e dà diritto a un posto nella storia. Duecento gol in Serie A significano che Antonio Di Natale è il settimo marcatore assoluto nel campionato italiano. Da quando ha iniziato a giocare in A, nei 5 maggiori campionati...

Monica Valendino

Il numero è grande, enorme, e dà diritto a un posto nella storia. Duecento gol in Serie A significano che Antonio Di Natale è il settimo marcatore assoluto nel campionato italiano. Da quando ha iniziato a giocare in A, nei 5 maggiori campionati d’Europa solo Ronaldo e Messi hanno segnato di più. Pure Ibrahimovic, da domenica, è rimasto dietro. In A, più su ci sono soltanto i grandissimi. Piola e Totti e Nordahl, Altafini e Meazza, e poi Roberto Baggio. E l’ex Codino - che segnò 67 dei suoi 205 gol in provincia, come Totò, tra Bologna e Brescia - è nel mirino. Quota 200. Il numero è grande, enorme, e forse servirà guardarlo in prospettiva, un po’ più in là nel tempo, per capirne la reale portata. Per capire quanto sia veramente forte Totò, e anche se poteva diventare qualcosa in più. Baggio, proprio lui, un giorno lo guardò negli occhi: «Sei come me», gli disse. Perché, è vero, la dolcezza del piede è la stessa. Il palmares è giusto un po’ diverso. E qui c’entrano le scelte di Totò. Anzi, LA scelta. L’Udinese. Udine. Per sempre.  

TOTò BARTLEBY L’atipicità di Totò è definita proprio dal suo percorso: dove si è mai visto un napoletano che si sente a casa in Friuli? A Udine Di Natale ha costruito il proprio castello di gol e ci ha messo dentro famiglia e affari. Come Totti a Roma. O Gigi Riva a Cagliari. Ma il romanista e Rombo di Tuono hanno portato le loro squadre nella storia, non ci sono andati da soli. Proprio Riva, però, ai tempi del rifiuto alla Juve, estate 2010, applaudì la scelta: «Oltre al calcio di Ibra, esiste ancora un calcio di sentimenti, grazie a Dio». E Di Natale è diventato il Bartleby del pallone. Quando le grandi chiamavano, lui cortesemente rispondeva: «Preferirei di no», come lo scrivano di Melville, quello che lavorava all’ufficio lettere smarrite. Timido e conservativo, tutto il contrario di com’è in campo, dove osa spesso l’inimmaginabile. In carriera forse ci ha rimesso qualche scudetto e magari anche un grande percorso in Nazionale. Totò, a domanda, ha risposto poco convinto: «Non è vero che in azzurro non ha funzionato, ho giocato 42 partite e segnato 11 gol». All’Europeo 2012 fu l’unico a segnare su azione alla Spagna pigliatutto di quegli anni. Ma qualche rimpianto resta, come per un altro grande numero 10, Roberto Mancini.

ALLA MARADONA Cosa ci ha guadagnato, invece, Totò dal lungo matrimonio con l’Udinese? Forse proprio i numeri da record. In Friuli, Di Natale ha cancellato le pressioni. Se non segni per tre gare di fila, in una grande piazza magari ti tocca la panchina. Non se sei Di Natale nell’Udinese. A lui è capitata di rado, l’astinenza. Ma quando è successo, 9 partite l’anno scorso, Totò se ne uscì con il botto: «Basta, a fine stagione smetto». Significativo, no? Come piedi, invece, è secondo a pochi: tecnica, dribbling secco, rapidità di esecuzione. Rivedere, al proposito, un paio di gol: pallonetto dalla linea di fondo con la Reggina nel 2007, roba da Maradona; oppure aggancio e pallonetto al Palermo un anno dopo.

SEMPRE PIù 9 Con il tempo, ha affinato il modo di giocare. Da attaccante esterno con una punta di riferimento al centro faceva già magie ma segnava poco. Pian piano ha accentrato e avanzato la propria posizione, accorciando il raggio d’azione (ma sempre cercando spazi da sinistra verso il centro, la traiettoria preferita). Fino a diventare il terminale della squadra: palla a Totò, ci pensa lui. In stagione ha una media di appena 12 passaggi a partita. Ma è cresciuta la precisione in fase conclusiva: 7 gol su 23 tiri totali, percentuale realizzativa che supera il 30 per cento. Mai stata così alta. E allora che importa la maglia che porta? Che il campionato ce lo conservi.

Tratto dalla Gazzetta dello Sport

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