- Serie A News
- Rassegna stampa
- Calcio Triveneto
- Altri Sport
- Redazione
news calcio
È stato il «portiere di Maradona». E per questo ancora qualcuno lo ricorda, nelle immagini di un calcio che sembra uscito da un’altra era. E in fondo è un paradosso perché non ci potevano essere due figure più distanti: Diego era l’idolo trascinatore a cui si perdonava tutto e Giuliano Giuliani era il solitario della compagnia, non solo per il ruolo che aveva in campo. Sulla Coppa Uefa del Napoli (17 maggio 1989) e sullo scudetto del 1990 ci sono anche i suoi guantoni. Ma pochi anni dopo — oggi sono 20 da quel 14 novembre 1996 — «Giulio» è morto al reparto malattie infettive dell’ospedale Sant’Orsola di Bologna. A 38 anni se l’è portato via una complicazione polmonare, dopo che aveva accompagnato a scuola la figlia Gessica. Giuliani aveva l’Aids, il contagio forse era arrivato nei baccanali del matrimonio di Maradona in Argentina, e il suo fisico era già minato dal 1994, quando si era ritirato sui colli bolognesi. Un paio di anni prima, ai tempi dell’Udinese, la sua ultima squadra, era stato accusato e arrestato per detenzione e spaccio di droga, venendo scagionato subito.
Non era un santo, insomma. E il calcio italiano, che di santi notoriamente è sovrappopolato, lo ha rimosso ancora prima della sua morte, etichettandolo come la sua unica vittima per il virus killer. E dimenticandolo nell’ultimo scaffale della memoria. «Ma era un buonissimo portiere — ricorda Osvaldo Bagnoli che lo ha allenato al Verona per tre anni —. Si isolava parecchio: io parlavo poco, lui ancora meno, eppure c’era intesa tra di noi. La sua morte fu un grande dolore». Sia a Verona che a Napoli, Giuliani aveva rimpiazzato Garella, in una sorta di rincorsa che nella seconda metà degli anni 80 lo aveva consacrato come uno dei migliori, subito dopo la coppia Zenga-Tacconi. Aveva fatto la riserva dello juventino all’Olimpiade di Seul 1988, prima di finire alla corte di Maradona.
«A Napoli arrivammo assieme, ma ci eravamo conosciuti anni prima durante il militare — racconta Giancarlo Corradini, ex difensore —. E già da ragazzo mi aveva colpito la sua maturità, le sue idee sempre avanti: voleva creare un raggio laser per misurare la distanza della barriera, aveva un negozio di abbigliamento, disegnava le maglie con cui giocava e le commercializzava. Sul campo era tra i 4-5 migliori: non era uno showman che si atteggiava, ma era un portiere essenziale. Ha lasciato un bel ricordo tra i suoi compagni. Il calcio lo ha dimenticato perché in quegli anni si scappava da quella malattia. E così si è scappati anche da Giulio».
(Tratto da Corriere.it)
© RIPRODUZIONE RISERVATA