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Castello di Cisterna, ecco dove è cresciuto Di Natale

A Castello di Cisterna è fin troppo facile sognare. Perché su quel rettangolo di gioco, a pochi chilometri da Napoli, tanti giovani promesse sono diventate realtà. Ingredienti? Impegno e sacrifici. E sacrifici. E sacrifici ancora. E,...

Monica Valendino

A Castello di Cisterna è fin troppo facile sognare. Perché su quel rettangolo di gioco, a pochi chilometri da Napoli, tanti giovani promesse sono diventate realtà. Ingredienti? Impegno e sacrifici. E sacrifici. E sacrifici ancora. E, soprattutto, l’occhio lungo di Lorenzo D’Amato, fine talent scout (ed oggi direttore) dell’Usd San Nicola, la scuola calcio sorta nel 1981 che ha cresciuto e formato – tra gli altri – MontellaLodi e Di Natale.

Altri tempi, ormai andati, ricordati con nostalgia ed un pizzico di rimpianto: “Col passare degli anni le scuole calcio sono peggiorate – le parole di D’Amato a GianlucaDiMarzio.com - perchè vent’anni fa c’era più passione, più amore, più tutto. Oggi non si lavora più come una volta, soprattutto non si viaggia più come una volta. Pochi osservatori... Oggi i ragazzi hanno tutto, prima si pensava solo a giocare ed ecco perché uscivano fuori calciatori validi. Se ricominciassimo a fare un po’ di calcio giovanile come si deve il calcio italiano potrebbe rifiorire”.

Cosa è cambiato nelle scuole calcio e qual è l’utilità delle stesse nella formazione di un calciatore? “Se fatta nel modo giusto, la scuola calcio può aiutare davvero a migliorarsi sotto tutti i punti di vista. Oggi ci sono troppi interessi, si pensa solo a fare provini su provini e si è persa la serietà di un tempo. I vertici dovrebbero aprire un po’ gli occhi, come si può insegnare calcio su un campetto quattro metri per otto? Ormai tutti i bambini giocano in questi miseri spazi, ma allora si fa calcio o calcetto? E poi oggi è cambiata proprio l’idea di insegnare calcio ai più piccoli”.

Cosa intende? “Faccio un esempio: quando un ragazzino tenta un dribbling o un uno contro uno, l’allenatore lo richiama dicendo che la palla va sempre passata. Ma se togliamo entusiasmo a questi ragazzi come facciamo a capire dove possono arrivare? Un ragazzo dovrebbe esprimersi del tutto prima di essere giudicato. Fino ad una certa età bisognerebbe insegnare un calcio che faccia a meno della tattica e di tutti questi moduli e numeri”.

Napoli è considerata la patria del calcio. Lei che lavora da trent’anni con i giovani può confermarlo? “Assolutamente, ritengo che qui ci sia il più grande serbatoio del calcio europeo ed infatti nella mia scuola calcio ci sono esclusivamente ragazzi campani. De Laurentiis parlava di ‘cantera’, ma non vedo programmazione in molti club italiani. In Spagna, ad esempio, hanno capito come lavorare ed i risultati sono evidenti”.

La sua scuola calcio è affiliata all’Empoli, e da anni la sinergia sembra funzionare: da Montella a Di Natale, passando per Lodi… “Certo, perché lì hanno capito che nel calcio la cosa importante è fare un grande settore giovanile. Ad Empoli conosco tante persone semplici che lavorano prettamente sui giovani, e più passa il tempo e più migliorano. Senza la famiglia Corsi molti calciatori forse non sarebbero mai esplosi”.

Come si fa a capire che un ragazzino è destinato a diventare un campione? “Beh, ci sono giocatori con doti innate che balzano subito all’occhio, ed altri che invece migliorano col tempo. Montella, ad esempio, giocava in porta prima di diventare un attaccante, ma la sua furbizia, così come la classe di Di Natale, era la stessa già vent’anni fa”.

La riforma delle rose può aiutare a risollevare il calcio italiano? Altre proposte? “Ben venga la riforma, sperando che sia solo un inizio perché da sola non può bastare. Io schiererei quattro stranieri in panchina e quattro in campo, poi per il resto solo italiani. E poi permettetemi di elogiare Zeman, lui è comunque e davvero un grande. Se i vari Insigne, Immobile e Verratti sono esplosi è perché ci ha creduto, ha avuto coraggio e se n’è fregato della carta d’identità”.

A cura di Fabio Tarantino per gianlucadimarzio.com

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