rubriche editoriali 2

Allenatori, che passione

Batto furiosamente con calma la tastiera mentre alla televisione danno “bar sport”, film bellissimo tratto da un romanzo bellissimo, interpretato magistralmente dal nostro Giuseppe Battiston. E penso all’ombreggiante innalzato a protezione...

Franco Canciani

Batto furiosamente con calma la tastiera mentre alla televisione danno “bar sport”, film bellissimo tratto da un romanzo bellissimo, interpretato magistralmente dal nostro Giuseppe Battiston.

E penso all’ombreggiante innalzato a protezione dei magistrali schemi dell’Udinese, partoriti dalla genialità del mister anziate che guida valentemente i bianchineri.

Ironico? Forse. Ma in tutta onestà non so cosa si voglia nascondere. Poi leggo delle panche girevoli della serie A, e un po’ capisco.

Passato un terzo scarso di campionato, nella massima categoria nazionale sono saltati il mister del Carpi (due volte), della Samp-e-Doria, del Palermo, del Bologna. Mandorlini del Verona respira a malapena, Mihajlovic si è salvato con tre vittorie di fila ma dopo un pari in casa è di nuovo sulla graticola. E Colantuono?

Un Pozzo “prima maniera” lo avrebbe fatto saltare da diverse settimane. Non questa società, che invece appare più pacata e meno impulsiva.

Licenziare l’allenatore scelto per la propria formazione è complicato; si usa un termine indorato di falsità, esonerare, dal latino “ex onerare” significherebbe togliere un peso. Insomma, maniera per dire al professionista della panca “so che soffri, non ne posso più di vederti così”. Un gesto d’amore, che uno come Maurizio Zamparini, romantico di professione, ha ripetuto quasi trenta volte nel solo Palermo. Ed in tal senso va la frase ciclostilata che appare sui siti ufficiali e termina con le parole “ la società Roccellese ringrazia Canciani per lo sforzo profuso, e gli augura i migliori successi professionali futuri”, nella speranza quindi che trovi presto un altro posto ed esca dal libro paga.

Ci sono pochi lavori effimeri come il tecnico di calcio: le variabili in campo sono troppe, quasi impossibile prevederne ogni possibile combinazione. L’adattamento del mister al nuovo ambiente, e viceversa; la coabitazione fra il nuovo tecnico e l’ombra del predecessore, specie se il ricordo lasciato è buono; la simbiosi fra mister e giocatori, la risposta di questi agli schemi; infortuni e fortuna; eventi atmosferici e morsi d’insetto. Insomma, si guardi l’avventura brevissima di Luigi Delneri al Porto, ove subentrato a Mou nel club campione d’Europa, in venti giorni si inimicò Deco e compagnia ricavandone un licenziamento in tronco. Sostituito da gente come Victor Fernàndez e Co Adriaanse, generosi mestieranti ma nulla di più.

Lo sanno, gli allenatori, che un rigore, un fuorigioco, una prestazione cattiva può decidere l’andamento di una stagione intera: e lo accettano, perché in fondo per molti fra loro la vita è questa, domeniche da tensione a mille e lunedì sul filo del rasoio. Oronzo Canà in carne ed ossa.

Perché tutto questo preambolo? Senza entrare nel merito ad esempio dell’allontanamento di Walter Zenga, un superprofessionista che non stava facendo affatto peggio del millantante predecessore, con la differenza che  l’uomo ragno non citava Che Guevara, rispondendo anzi per le rime ad un ambiente tutt’altro che lucido. Colpevole di un’uscita dai preliminari di coppa europea (im)meritata solo per l’allontanamento di altre formazioni meglio piazzate; colpevole di non far giocare l’investimento dell’anno, un ex-talento da Barivecchia che stazza ormai come una Costa Atlantica qualsiasi... A ‘sto punto, ripeschino Ronaldo (quello dell’Inter).

Per dire che se mi chiedessero “vuoi che Colantuono continui ad allenare?” oppure “secondo te Colantuono rischia?”, non saprei cosa rispondere. Cambiare tanto per fare, per dare una scossa all’ambiente, dove al termine scossa sostituirei il più appropriato alibi, è stupido. Per prendere chi? Corini? Di Carlo? Guidolin-III?

Meglio lasciar perdere.

Soprattutto di fronte ad una squadra costruita come peggio non si poteva. Qualità zero, agonismo appena sufficiente, proprietà di palleggio inesistente. Ma si salverà, l’Udinese, giustificando così agli occhi di coloro i quali ancora questa società appare celestialmente incapace di errori, infallibile come un Papa medievale un’ennesima campagna d’indebolimento mascherata stavolta dal bunker Sandero. Quando invece sono solo umani, talvolta (e me ne prendo le responsabilità, di ‘sto pensiero) li giudico presuntuosi nel pensare che qualsiasi affettaciocchi (sclapezòcs) che passi da Udine diventi automaticamente un Nino maravilla. Non capita, e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. 1,1 punti di media partita, per cui con tutta probabilità si girerà fra 18 e 20 pezzi. Sufficienti per salvarsi, in un campionato però nel quale squadre mediamente attrezzate come Torino ed Atalanta se la giocano con tutti.

Detto quindi che i podòsferi a disposizione sono tutt’altro che la trascendenza fatta calciatore, che nessuno fra loro ispira eroiche immagini a mo’ d’eroe invitto, c’è un’altra strofa dolente, quella che riguarda appunto il mister.

Colantuono ha le sue colpe, sempre secondo il mio assolutamente parziale avviso. In precampionato ci disse in fondo di non pretendere troppo, ché l’Udinese ha sempre giocato compatta e ripartendo veloce dopo aver atteso l’avversario.

Premesso che ciò è solo in parte verità, che le migliori formazioni bianchenere scendevano in campo e dettavano legge (sì, qualità dei singoli, ma soprattutto sì, mentalità vincente), la sua Udinese ha la colpa, ai miei occhi mortale, di aspettare l’avversario e basta. Non c’è un singolo schema che permetta veloci contropiedi, non un’idea su come ribaltare il fronte dalla difesa all’attacco, se tralasciamo quello che, sul rinvio del portiere, serve Alì o Edenìlson i quali di testa indirizzano verso il centro dell’area, ove regolarmente Totò o Cirillo si fanno anticipare. Manca velocità, fisica e di testa; assente la mentalità vincente, ché come direbbe Djokovic se manca per un solo punto giocato rischia di compromettere un set intero, o il match: figurarsi se làtita per interi gironi d’andata. È questo che mi perplime del buon Stefano d’Anzio: dietro l’ombreggiante, niente. Oppure lui è un genio e i giocatori dei somari.

Ne l’uno nè l’altro: sono un gruppo di professionisti medi. Ce la faranno, ma di loro pochissimi si guadagneranno la riconferma. Umanamente Colantuono non è una brutta persona, anzi: ma siccome per me il calcio in bianco e nero è una passione, e siccome questo mister me l’ha trasformata vieppiù in una passione (il Passio cristiano), magari a maggio ci stringiamo la mano e ci diciamo che abbiam scherzato. Sempre che a qualcuno, oltreché a noi, dei bianchineri interessi qualcosa..

Franco Canciani @MondoUdinese

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