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Messaggero V: Guidolin, «Tenendo Sanchez noi da scudetto»

Lunghissima e articolata intervista di Francesco Guidolin al Messaggero Veneto:   Guidolin, partiamo dalla fine. Perché non ha funzionato il suo nuovo ruolo all’Udinese come coordinatore tecnico delle tre realtà calcistiche dei Pozzo?...

Monica Valendino

Lunghissima e articolata intervista di Francesco Guidolin al Messaggero Veneto:

 

Guidolin, partiamo dalla fine. Perché non ha funzionato il suo nuovo ruolo all’Udinese come coordinatore tecnico delle tre realtà calcistiche dei Pozzo? «Non lo so. Ne parlavamo da tempo, pensavo di essere ormai un uomo del club anche perchè avevo rinunciato a offerte importanti. Di fatto è un progetto che non è mai partito. Non è andata, ne ho preso atto e ci siamo lasciati».

Nel quadriennio 2010-2014 sono arrivati 200 punti. Impensabile appena ritornato a Udine, non trova? «Sì, ma se andiamo a rileggere la storia io credo che la rosa del primo anno, se confermata in toto e rinforzata da due-tre pedine, avrebbe potuto lottare per lo scudetto. Poi, sia ben chiaro, io avallai la decisione della società di far partire chi aveva richieste perché trattenere un giocatore controvoglia non ha senso. Ma quella, con l’inserimento di Danilo, è la mia Udinese più forte».

Qual è stato il momento più difficile che ha vissuto sulla panchina dell’Udinese? «Sicuramente l’eliminazione dal preliminare di Champions per mano dello Sporting Braga. Per due giorni ebbi davvero la tentazione di mollare tanto forte era stata la delusione. Poi da buon ciclista sono risalito in bici e mi sono messo a “pedalare”». Il giocatore più forte che ha allenato a Udine? «In senso assoluto Totò. Ma che soddisfazione intuire che Sanchez era un numero 10. Poi è andato a Barcellona dove da esterno non ha espresso secondo me tutto il suo potenziale».

Il vero miracolo è arrivato nella seconda stagione: terzo posto con trequartisti Torje o Fabbrini... «Il miracolo non è stato del sottoscritto, ma frutto del lavoro di tutti: società, staff e giocatori che seppero rimotivarsi sempre più nelle difficoltà».

Cominciaste quella stagione andando a sfidare l’Arsenal con Ekstrand e Neuton titolari... «La qualificazione ce la siamo mangiata a Londra dove abbiamo fallito tre-quattro occasioni. E se Totò nella gara di ritorno avesse segnato il rigore del possibile 2-1 chissà come sarebbe finita. Io ho comunque un ricordo piacevole della sfida con gli inglesi».

Il suo unico vero grande rimpianto rimane, dunque l’eliminazione per mano del Braga? «Sì. Quel cucchiaio di Maicosuel rimarrà il mio grande cruccio. Io avevo scelto i rigoristi, ma qualcuno non se la sentì di andare sul dischetto. Dovevo insistere io e mandare a calciare chi ci aveva portato sin lì».

Nel suo ultimo anno sulla panchina bianconera ha mai davvero pensato di retrocedere? «No. É stata una stagione difficile anche perché eravamo abituati ad altri obiettivi, ma non hai avuto paura perchè nei momenti decisivi la squadra sapeva sempre ritrovarsi. E infatti arrivammo in semifinale di Coppa Italia battendo Milan e Inter e giocandocela alla pari in semifinale con la Fiorentina. Fossimo andati in finale sarebbe stata la quinta qualificazione europea su cinque a Udine per me».

 Il nuovo Friuli è quasi ultimato. Sensazioni? «Mia moglie che è stata più spesso di me a Udine mi riferiva che lo stavano costruendo con grande rapidità. Io l’ho visto in tv e il colpo d’occhio mi è sembrato davvero molto bello. Spero che la società mi inviti il giorno in cui verrà ufficialmente inaugurato».

A Udine impazza la polemica sul nome. Dacia Arena ha fatto arrabbiare non poco la maggioranza dei tifosi. Il suo pensiero? «Dipendesse da me lo chiamerei FriulArena, ma mi rendo conto che il mondo va in un’altra direzione e che sono un po’, come dire, fuori dai tempi».

 Lei ha “giocato” molti Udinese-Palermo. Il più famoso rimane quel 7-0 alla Favorita quando sedeva sulla panchina bianconera. Cosa disse nell’intervallo ai suoi giocatori che stavano vincendo 5-0? «Mi rivolsi soprattutto ai senatori e dissi loro che bisogna fare le persone per bene e non era il caso di infierire. In campo, però, c’erano, due-tre ragazzotti che non mi davano ascolto, Sanchez su tutti. Dopo un quarto d’ora dovetti sostituirlo perchè altrimenti quel giorno avrebbe segnato dieci gol».

Lei ha inventato Sanchez numero 10, ma ha cambiato anche ruolo a Pereyra che lo scorso anno, alla prima stagione nella Juve, è stato il terzo giocatore per minutaggio. «Brava la società a prenderlo, ma qualche “trappola” per strada me la misero. Venne presentato come un esterno di sinistra in una mediana a cinque. Poteva adattarsi, ma più passava il tempo e più mi rendevo conto che era più bravo al centro. Max non giocava, comunicava poco e niente, ma intuiva che lo consideravo. Poi si è sbloccato ed è diventato una bella mezzala. Ditelo anche ai colleghi di Sky che insistono nel dire che con il sottoscritto a Udine giocava da esterno. Non è vero». 

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