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De Sisti: Quando Gino Pozzo si sedette con me in panchina

La storia del calcio italiano ha una pagina indelebile: Italia-Germania 4-3, Mondiale del Messico del 1970. « La partita del secolo » è stata definita, immortalata da immagini e da un film. Uno dei protagonisti di quella gara è stato Giancarlo...

Monica Valendino

La storia del calcio italiano ha una pagina indelebile: Italia-Germania 4-3, Mondiale del Messico del 1970. « La partita del secolo » è stata definita, immortalata da immagini e da un film. Uno dei protagonisti di quella gara è stato Giancarlo ‹ Picchio › De Sisti, ex giocatore della Roma e ed ex tecnico, tra le altre, anche dell’Udinese: «Sono orgoglioso di averla giocata! La gente se ne ricorda ancora ancora, è incredibile. Peccato solo per aver speso così tante energie poi pagate nella finale contro il Brasile ».

Come è arrivato fino lì?

« Nella mia onorata carriera sono felice di quanto fatto, non ho rimpianti. Grazie a Dio sono stato fortunato. Ero un giovane che sognava di diventare calciatore, è successo. Sono partito da una parrocchia del Quadraro, dove giocavo su un campo impolverato con gli amici. Qualcuno mi ha visto e mi ha portato alla Roma in Serie A: che sogno!  Ho fatto una bella carriera fino alla Nazionale dove abbiamo scritto pagine importanti. Oltre al Mondiale messicano ricordo la vittoria agli Europei 1968. Una emozione unica ».

Come mai questa Nazionale è ancora così amata?

« Vorrei raccontare un episodio: mesi fa sono stato invitato a un convegno della Mediolanum, vicino a Fiuggi: mi guardavano come se fossi stato un eroe! Gli eroi nella vita sono altri, ma forse i giovani e non solo si identificano in queste squadre perché ci mettevamo passione, sudore e cercavamo sempre di vincere. Mi hanno accolto come se fossi stato un primo ministro, non nego che sono rimasto allibito pure io! Abbiamo scritto la storia, questo sì ».

In quei tempi aveva di fronte Pelé. Il più grane di tutti?

«In quell’epoca ci sono stati campioni unici. Chi ha vissuto quel calcio sa che non si possono fare i paragoni, ma Pelè ammetto che era davvero immarcabile. In campo era una pantera ».

Da tecnico ha incontrato anche Zico. Un ricordo?

«Quando affrontai il Galinho a Udine avevo dubbi su come fermarlo: la gabbia o due uomini su di lui. Certi giocatori non c’è modo però di fermarli con le idee, solo con un po’ di fortuna e tanta bravura da parte dei tuoi giocatori. Ricordo il pensiero su come affrontare Zico, ma anche il piacere di vederlo in campo, lo ammetto. La sua grandezza però è stata anche essere umile fuori dal campo. Maradona e Pelè sono stati immensi sul terreno di gioco, fuori hanno avuto i loro problemi. Zico, invece, per me è un esempio per tutti i giovani ».

A Firenze invece ha allenato Socrates.

« C’era aria di speranza in Toscana: quando lo prendemmo molti speravano che portasse anche in gigliato la sua democrazia corinziana. Aveva un’intelligenza al di sopra di quella di tanti calciatori. Era dottore, politico, ma ha faticato: era ‘troppo’. Erano gli anni dove si sperava che anche altri che non fossero gli Agnelli o le solite note potessero vincere. I Pontello, friulani, cercarono di fare il massimo. Però a comandare a Firenze arrivarono Corsi e Allodi e il broccolo di mezzo ero io che si faceva condizionare: il1984 fu l’ultimo anno di speranza, poi perdemmo Socrates, Bertoni fu venduto al Napoli… E tornarono a vincere i soliti, con il Verona ultimo baluardo di un calcio speranza. Quella Fiorentina faceva sognare, fu punita con episodi davvero dubbi, come l’Udinese pagò con alcuni fatti e io ne so qualcosa ».

Come ricorda i meno nove a Udine?

«Non so se quella è stata una punizione per aver comprato Zico. Comunque è stata una retrocessione annunciata. La società stava poi per essere venduta, si respirava incertezza. L’allestimento di una  compagine con questo fardello è impossibile per chiunque. Abbiamo cercato di prendere qualche giocatore buono, ma i calciatori sono furbi, gli piace giocare in certe platee. Quelli davvero forti che potevano cambiare le cose non se la sono sentita di giocare  in quelle condizioni ».

Che impressione le ha fatto Pozzo quando arrivò?

«Già allora si vedeva che era una persona preparata, stava attenta a tutto, anche a una smorfia. Capiva gli altri immediatamente, comprendeva le necessità e aveva il fiuto degli affari. Aveva il sogno di fare grandi cose già dal suo arrivo a Udine: la sua fissa era portare in alto l’Udinese, all’inizio puntò però su giocatori affermati, poi ha capito che la chiave di volta potevano essere i giovani affamati. Oggi ha creato un modello per molti, con bilanci sani e un progetto sempre in divenire. E’ sempre stato avanti. La sua bravura la si  è vista subito, si intravedeva. Ho conosciuto anche il figlio, Gino: era giovanissimo allora, ma aveva una passione smisurata per l’Udinese. Spesso sedeva in panchina con noi e incitava i ragazzi in campo ».

Da allenatore quale è stato il suo maestro?

«Liedholm. Mi ricordo quando mi incitava a giocare nonostante una caviglia dolorante: Jancarlo, ricordati, meglio un cavallo zoppo che un asino sano..., mi diceva. E io gli rispondevo: 'Mister, su 100 cose che dice, tra battute, scherzi, cose che già so, 98 non mi servono. Ma quelle 2 che restano le metto da parte. Così ho fatto nella mia carriera ».

Stramaccioni le piace?

« Quando era a Roma ha fatto molto bene con gli Allievi giallorossi. E’ andato via perché iniziava a stargli stretta quella categoria e in Primavera non poteva andare: quello è territorio di Alberto De Rossi! A Milano ha confermato quanto sa di calcio. Moratti l’ha portato alla ribalta e da lì ha fatto sempre bene a mio parere. Crede nei settori giovanili da sempre. Anche se io dico che le buone squadre, quelle vincenti, sono merito dei grandi giocatori. Un tecnico ci mette del suo, ma sono i calciatori ad andare in campo e quelli bravi vincono. Una volta Luis Enrique pensava che per raggiungere il Real  Madrid bastasse la tattica, ingabbiando Messi. Oggi sono i giocatori come l’argentino a regalargli la finale di Champions, questo per dire che un allenatore passa attraverso i suo grandi giocatori ».

Il calcio di oggi è molto fisico. Le piace?

«I giocatori grossi e veloci vanno di moda. Lo diceva già Platini, aggiungendo però che per quanto grande e grosso sia non potrà mai correre più del pallone! La capacità di gestire la palla è sempre la chiave di tutto, anche nel calcio d’oggi. Il pallone lo devi saper utilizzare, lo dico a tutti i ragazzi che incontro. E’ il gusto della giocata a rendere bello questo sport, se perdi questo perdi anche la voglia di divertirti e di giocare

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