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Jurassic football (Di F. Canciani)

Credevo la saga cinematografica sulla rinascita clonale dei dinosauri si fosse esaurita vent’anni or sono, quando magari anch’io avevo piacere di darvi un’occhio neanche poi tanto compiaciuto. Nacque la leggenda di Velociraptor e T-Rex...

Franco Canciani

Credevo la saga cinematografica sulla rinascita clonale dei dinosauri si fosse esaurita vent’anni or sono, quando magari anch’io avevo piacere di darvi un’occhio neanche poi tanto compiaciuto. Nacque la leggenda di Velociraptor e T-Rex mentre a me piacevano più I T-Rex di Marc Bolan, epigoni ed anzi portatori sani di glam rock. Al cielo appartiene ora il genio di Marc, a noi resta l’ennesimo episodio giurassico dove si vede (dicono attenti critici) una professoressa archeologa o giù di lì correre su tacchi a spillo dove ci immagineremmo scarponi e camicia kaki. Pazienza, mieterà centinaia di milioni di incasso che doppieranno quelli spesi per la realizzazione, chapéau.

E questo mi ha fatto ripensare a quanto arcaico rimanga il mondo del calcio a fronte di un intero universo criato in progressione inarrestabile, come sia refrattario a nuove tecnologie, a nuovi ingressi in vetta ai gruppi direttivi, ad ogni consiglio che un non-appartenente all’ottuagenario (inteso come età media) Board possa intuire e sommessamente proporre.

Qualche esempio?

Il presidente della Fifa sembra debba per forza aver visto venti Olimpiadi per esser eleggibile: basti pensare che negli ultimi cinquantatré (sic!) anni si sono eletti tre (a-ri-sic!) soli presidenti. Il primo, britanno, durò dodici anni; Havelange un ventennio abbondantissimo, l’attuale Blatter quasi. E sembra che possa ritirare le dimissioni, spinto forse dalla volontà dei suoi sodali che ne sentirebbero la mancanza e soprattutto dal suo senso sportivo, certamente senza eguali. I soldi? Il potere? Malignetti, siete...

La palla è entrata o no in porta? Serve un aiuto al povero arbitro che dalla propria prospettiva non può scorgere pienamente quanto avviene sulla linea di goal o nelle prossimità? Semplice: invece che mutuare un sistema che nell’hockey su ghiaccio (tanto per citare uno sport in cui spesso è altrettanto complicato dirimere le controversie dei goal-non-goal) è adottato da un trentennio, si pensa invece agli arbitri di porta, gente divertente che su quattro chiamate ne sbaglia tre, e quando ci azzecca (Udinese-Roma) si sente rispondere dal direttore centrale di gara “no no, è gol, l’ho visto io”. Sì: da venti metri.

Fuori gioco sempre più difficili da scorgere? Qual più immediata soluzione se non “nel dubbio bandierina giù”?

Annose discussioni su rigori, espulsioni, ancora offside? Sport come rugby, basket, volley adottano il TMO, un ufficiale esterno di gara che dirime le questioni analizzando adeguate immagini televisive. Nella pallavolo e nel basket i videocheck sono addirittura limitati ad un paio per tempo. Ma il calcio no, ché poi si snatura il gioco, anzi il giuoco come direbbe un noto presidente. Meglio parlare per trenta settimane di un rigore o di una rete in offside ma convalidata, in Juventus – Roma, invocando la giustizia divina e adducendo tali errori (qualora fossero stati tali) a scusa per una trentina di punti di distacco. Un video esterno avrebbe risolto la questione in venti secondi, forse venticinque.

Lascio per ultima la strofa più dolente, quella ahimé sull’esercente, anzi sugli esercenti del calcio di casa nostra. dalla scomparsa dell’influentissimo Artemio Franchi (il suo potere si misura con la prestazione di tale arbitro nippo-peruano in Italia-Germania 4-3, ma non approfondiamo) si sono alternati al comando individui decisamente medi nel loro comportamento, uomini grigi e politicizzati lasciati lì ché tanto avrebbero accontentato capra, cavoli e ortolano.

Nell’ultimo anno, però, le dimissioni di Abete hanno fatto scoprire un calderone di vecchi dirigenti (nel senso più detrimente del termine) che puzzano dalla testa, come il pesce, se mi perdonate il paragone irriverente: un presidente di Federazione che per magnificare le gesta delle proprie società sportive cita un fantomatico Optì Pobà che ieri “mangiava... le banane... ed oggi gioca titolare nella Lazio”. Il suo referente nel mondo dilettanti, mentre probabilmente sgranocchia un crostino al salmone presso un qualificatissimo buffet, sentendosi come Jason Robards, avvocatone della Pennsylvania, nella sauna all male del film “Philadelphia” scherza con suoi pari sulle giocatrici di calcio definendole “quattro lesbiche rompic....”. Un presidente di squadra di prima fascia in serie A, parlucchiando un suo latino tutto personale, si sente in diritto di vaticinare su tutto: chi dovrebbe e non dovrebbe salire in massima categoria, come si dovrebbero tutelare la sua società ed altre, pena la mancata fiducia ai dirigenti in carica... Insomma un bestiario neanche troppo veneto di cui faremmo volentieri a meno.

Dimissioni? Macché. Qui non se ne va nessuno.

D’altra parte per fare fuori i dinosauri c’è voluta una glaciazione; questa genìa di superdirigenti, invece, non li fregheremmo nemmeno così: sopra un cuore peloso tengono un caldo cappotto di cammello. Forse il cammello di Optì Pobà.

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