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Presi a schiaffi dall’Empoli. Chiamatela pure Dacia Arena.

Non ci casco. Non tiratemi fuori il passato. Non cavate fuor dalle sacchette Stramaccioni, uno che l’anno scorso ci ha devastati di disperazione. Né Guidolin, che prima di deprimersi irreversibilmente ha portato tre qualificazioni consecutive,...

Franco Canciani

Non ci casco. Non tiratemi fuori il passato. Non cavate fuor dalle sacchette Stramaccioni, uno che l’anno scorso ci ha devastati di disperazione. Né Guidolin, che prima di deprimersi irreversibilmente ha portato tre qualificazioni consecutive, l’ultima con una rosa decisamente media rispetto alle precedenti.

Ho letto, io che di tattica capisco giusto da poterne dissertare con un gruppo di casalinghe pavesi, mille articoli scritti in settimana: supposto cambio di modulo colantuoniano, presunte mosse in allenamento, magari al riparo dagli occhi indiscreti di un Marco Giampaolo travestito da Lino Banfi/Giardiniere, evitando che costui rubasse una sfera e facesse la macùmba a Totò di Natale. Niente: il modulo non cambia, né il risultato. Ma le due cose secondo me sono modestamente in relazione.

All’inizio ha preferito, l’anziate, i muscoli di un centrocampo Badu-Iturra al fosforo di Bruninho, e davanti Totò anziché Cirillo nostro (autore sino a oggi dell’unica realizzazione, a Torino e sembra un secolo fa). Nelle idee di Colantuono c’era l’isolamento di Saponara, gran bel giocatore, ad opera del bellicapelli cileno. Più dietro si cercava un match pari del buon Imma Badu con il giovanissimo ed aitantissimo Diousse. E nella prima frazione, bloccata e non bellissima, tutto sommato il giochetto riesce. L’Udinese apparentemente si scrolla di dosso la ruggine della precedente brutta esibizione: cerca i fraseggi, i cambi di fronte, un piglio insomma prodròmico alla prima, storica realizzazione, di Duvàn Zapata, al nuovo Friuli.

Da una rimessa laterale la palla giunge a Totò, appostato nell’estrema sinistra dell’area empolese; col piede magico invia verso l’area piccola una lettera d’invito a nozze per il Panteròn: R.S.V.P., répondez, s’il Vous plait e piace molto a Zapata, che la graffia in rete. Epocale topica per lo speaker, che tutta settimana si prepara talmente a celebrare le reti di Di Natale che ne vede anche dove segnano altri compagni. Càpita. Anche se sarebbe meglio di no.

Niente di speciale, ma si vince.

La gara si trascina (macroscopica simulazione di Maccarone, che si lascia cadere in area fingendo un contatto con Karnezis) stancamente verso un intervallo che, anche senza eccessiva serenità, potrebbe preludere ad una ripresa che sancisca la prima vittoria casalinga. Sicuri?

Anche no.

Al rientro in campo Giampaolo rivoluziona la squadra, inserendo Ronaldo Pompeu in vece di Dioussa e invitando Saponara a interpretarla ancora più trequartisticamente; dopo otto minuti esce Iturra (ammonito, il mister dirà che ne temeva l’espulsione) lasciando posto a Bruno Fernandes. Nel frattempo, cosa importante, l’esordiente arbitro ravennate Fabbri continua ad arbitrare in maniera incomprensibile: sprazzi di calcio inglese, buon testimone sia il suo nome di battesimo (Michael), altri in cui fischia ogni alitata e sventola cartellini come piovesse.

Leggo le formazioni: scopro che tramonta ormai l’assioma di Udinese-squadra-giovanissima unito a Udinese-virgulti-da-crescere. Oggi nell’undici iniziale solo tre bianchineri erano nati dopo il ’90, contro otto vestiti d’azzurro empolese. Mi faccio persuaso che i nostri non siano inutilmente più maturi, che comprendano il cambio di metro arbitrale, magari approfittando dei giovani virgulti toscani. Macché.

L’Empoli mena gioco e mastica un’Udinese in evidente debito d’ossigeno ma soprattutto ricacciata nell’abulìa podosferica che ci ha decisamente sfrancicato gli attributi (intendo a noi cantori ed ai tifosi tutti). I bianchineri difendono a ridosso della propria area di rigore; lasciano la biglia in mano agli avversari, i quali furbescamente crollano al primo sospiro avversario incamerando una serie enorme di punizioni. Kone evidentemente dopo anni d’Italia non è ancora riuscito a capire cosa significhino, messe assieme, le due parole “metro” e “arbitrale” e compie un’improvvida irruenza a ridosso del centrocampo. Secondo giallo (non certo) inevitabile (?) e doccia anticipata. Ripeto, Fabbri sarà pure scarsicrinito ed inconcepibile, ma il grecalbanese compie un’altra fesseria e lascia i suoi in dieci. Trenta secondi dopo, da quella punizione (con tanto di schiuma da barba per misurare le distanze) palla leggera leggera a Leàndro Paredes, entrato da poco, e il tiro a giro impallina Karnezis, per altro bravissimo prima e dopo la rete.

La partita dell’Udinese, mai ricominciata nella ripresa, si sente cadere addosso una pietra tombale. Lo si capisce dalla lena con cui l’Empoli prova a vincerla, e la calma con la quale i bianchineri battono financo le rimesse laterali. Ma ciò non bastando, in pieno recupero, dopo un doppio miracolo di Karnezis su Saponara una palla persa a centrocampo innesca in contropiede BigMac Maccarone; Danìlo cerca di spostarlo con una spallata, ma casca lui lasciando biglia libera al vecchio bucaniere. Gioco, set, match.

Intendiamoci: ogni risultato diverso da quello scaturito dal campo sarebbe stato ingiusto per gli uomini di Giampaolo. Hanno dominato specialmente nella ripresa, ben oltre il minimo scarto (dubbi sulla rete in mischia annullata agli azzurri); sono pervenuti alla realizzazione, due volte, non in maniera estemporanea ma sempre attraverso il gioco; hanno gestito gli avversari con esperienza travalicante la giovane età media dei giocatori in campo.

L’Udinese? Sta scivolando giù per una china pericolosa. L’entusiasmo post-Juventus è ormai scemato del tutto, le tre sconfitte di fila (due in casa) pesano come un macigno. E la situazione ha come sempre molti padri.

I giocatori - spesso sembrano adagiarsi su una situazione del tutto incongrua, senza capire cosa stia succedendo. Oggi Alì ha corso bene nel primo tempo e nulla nella ripresa; la difesa è parsa del tutto rivedibile, Iturra ha tamponato meglio che poteva ma in fase di costruzione fa obiettivamente pena; davanti Totò è parso ancora lontano dalla migliore forma e Zapata si è man mano sempre di più incartato dentro una situazione kafkiana di lotta psicologica con l’arbitro (persa).

Il mister – la rosa a disposizione non è da Champions League, ma qualcosa di più ne deve cavar fuori. Se ne è in grado. Non mi sono mai illuso, anzi forse un po’ sì, che Colantuono desse un bel gioco a questa formazione: si viene da due anni devastanti, sarebbe bastato poco. Ma quel poco ancora non si vede: si è meritata la vittoria a Torino, si meritava forse un punto col Palermo mentre le ultime due sconfitte sono sacrosante. E perdere netto nel risultato e sul campo con una diretta avversaria nella lotta-retrocessione deve far preoccupare e pensare.

La società – io penso che neanche mettendosi d’impegno si possano inanellare così tante (involontarie, sicuramente!) topiche tutte in un solo inizio di stagione. Colgo fior da fiore: avrebbero potuto prendere Donadoni, Di Francesco, Maran e si assicurano un Colantuono, bravissimo professionista ma di cui si conosce bene la carriera sofferta; lanciano una campagna abbonamenti escludendo i posti migliori della nuova tribuna, riservati alla vendita a biglietto (ospiti); inaugurano un nuovo stadio, orgoglio friulano, la passione è la nostra forza e scelgono di (forse?) dargli il nome di un’utilitaria; mettono su una campagna acquisti-cessioni con utili di oltre quaranta milioni (fonte Gazzetta.it), senza arrivi significativi, lasciando invero poco tutelate posizioni importantissime. In particolare niente testa a centrocampo, dove la continuità di Fernandes ormai appare il beckettiano convitato di pietra di Aspettando Godot e gli altri hanno tanta clava e poco piede. E per non farsi mancar nulla, si prende IL giocatore-bandiera dei tifosi e gli si dà il benservito meritandosi le simpatie dei sostenitori più accesi (i quali oggi hanno chiaramente fatto sentire la loro opinione a proposito di questo e della querelle-nome-stadio) come di quelli moderati. A forza di ripetere, ripetersi, ripeterci che l’Udinese è una provinciale e non si poteva quindi pretendere nulla di più, dimenticano che Ai Provinciali a Udine era un’osteria in Via della Prefettura e amen. E a minacciar alluvioni i veri provinciali si rivelerebbero proprio loro.

Non c’è tempo. Martedì è Milan, che sta giocando bene e battendo il Palermo. L’anno passato contro le big si giocò bene. Vi attendo al varco. Nemmeno pensando che la svolta richiesta dalla gara di oggi fosse questa. A proposito: due gare in casa, due batoste. Se intendete continuare così, chiamatelo pure Sandero Arena. Il mio Stadio Friuli è tutta un’altra cosa. Con una maglia, nera con l’immagine di un fallo commesso ad Anfield, e due numeri sei sul dorso.

Franco Canciani @MondoUdinese

 

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