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Kobe, non è il vuoto che hai lasciato a dover preoccupare, ma il pieno che hai dato che deve consolare.

Una volta spiegò al Los Angeles Times che non voleva guardarsi indietro e sentirsi appagato per aver «avuto una carriera di successo, perché ho vinto così tanti campionati e segnato così tanti punti», ma intendeva lasciare qualcosa di...

Redazione

I have a dream.Martin Luter King risuona in una notte italiana atipica, nebbiosa con poche stelle sul quel nord che di questi tempi ne dovrebbe essere ricco per i venti dell'est che puliscono l'aria. Invece...Invece è tutto così strano. respiriamo un clima diverso. E mentre qualcuno pensa a al riscaldamento globale qui c'è chi pensa alla perdita di un uomo che ha significato tanto, molto. Un po' come Senna, un po' come Pantani, quelli che ti strappano lacrime che sono di ghiaccio perché il cuore si indurisce e non riesce a scioglierle. Lacrime così pesanti che quando cadono al suolo risuonano nel silenzio che si è formato attorno.

Kobe, perché l'hai fatto? Perché hai preso quell'elicottero nonostante la nebbia che sta a Los Angeles come l'onestà sta ai politici. Ricordo una tua frase: "Un presidente il cui nome evoca rabbia e divisione, le cui parole ispirano dissenso e odio, non renderà l'America Great Again". Dedicato a MacDonald Trump, e solo questi tuoi macigni rendono l'idea di quanto tu libero fossi di pensiero, di agire, di giocare come un angelo può fare su un campo dove gli altri non possono che fermarsi ad ammirare.

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"Devi diventare forte, una roccia. Sennò non sopravvivi. È stato un anno molto duro. Qui a Los Angeles i media sono molto aggressivi e sì, forse tendono a giudicarmi prima del tempo. Anche i fan sul campo sembra che mi abbiano già giudicato, ma loro sono tifosi, fanno il loro mestiere, non ho nessun risentimento. Gioco a basket, la mia terapia. La mia fuga da ciò che mi sta succedendo. Forse mi diverto più in allenamento che in partita". Negli States si dice che se vuoi diventare un duro devi vivere a NY, se vuoi vivere rammollito devi stare a LA. Ma non è solo questo, perché la California è più aperta, il suo Pacifico che è azzurro come nemmeno nei sogni, il cielo e il tramonto che si fondono in città che vivo no co n problemi, ma che sanno essere solidali, ma anche spietati oggi che i social hanno preso il sopravvento sui sogni.  E Kobe in contesti del genere era solo un lottatore uno che sapeva quanto dura fosse la società d'oggi che ti giudica lanciando il sasso e nascondendo la mano. Sui social oggi ti piangono, ma allora erano pronti a giudicarti per una partita sbagliata e magari anche per uno stupro nato su accuse fantasiose. "Voi mi conoscete, è anche inutile che ve lo dica: sapete benissimo che non farei mai una cosa del genere. Stanno circolando molte storie assurde su quello che sarebbe successo", come non crederti, tu che per stare con la famiglia hai lasciato il campo così presto.

Kobe. L'Italia e il calcio, il suo Milan. "Per i tifosi di pallone il calcio è più di uno sport, lo vivono in maniera più intensa, sembra più una religione", ed è vero. In America chi ha visto dal vivo una partita di basket o di baseball sa bene che è uno spettacolo da godere, non uno scontro. Non c'è nessuno che azzardi un fischio razzista un buu, non c'è coro verso l'avversario, ma solo godimento per la propria squadra se vince sofferenza se perde. Sport, come solo gli USA sanno portare avanti nel mondo. In Europa siamo così legati solo al campanile, ma Kobe quei campanili di provincia li ama, a Reggio a Pistoia in Calabria. Quei campanili con l'oratorio dove da piccolo andava a fare canestro, oppure nei palazzetti seguendo suo padre e facendo vedere quello che voleva essere. "Arrivare secondo vuol dire essere solo il primo tra gli sconfitti", ma vallo a a far capire a molti sportivi protetti dai loro agenti che vedono nel profitto l'unico vero assillo.

Kobe e la solidarietà. Da cristiano vero, da uno che prima di morire e andare a sfidare Gesù a canestro era a Messa per fare  la comunione.  Il suo rapporto con Dio e l’incontro con un sacerdote cattolico sono stati decisivi nei momenti più difficili della sua vita: sia nel processo per l’accusa di stupro sia per rafforzare il suo matrimonio e la sua famiglia.

Cristiano per l'attivismo nel campo della solidarietà: attraverso la fondazione messa su insieme con la moglie (la Kobe & Vanessa Bryant Family Foundation) e altre organizzazioni benefiche in cui erano coinvolti, hanno finanziato tanti progetti per i poveri e per i giovani senzatetto.

Una volta spiegò al Los Angeles Timesche non voleva guardarsi indietro e sentirsi appagato per aver «avuto una carriera di successo, perché ho vinto così tanti campionati e segnato così tanti punti», ma intendeva lasciare qualcosa di diverso: «Devi fare qualcosa che abbia un po’ più di peso, un po’ più di significato, un po’ più di scopo». E alla fine dalla Città degli angeli sei salito tra gli angeli: vedrai che partite anche lassù... perché tu che hai insegnato a sperare oggi sappiamo che è la speranza che il tuo sorriso dilaghi in posto migliori a consolarci.

Kobe, non è il vuoto che hai lasciato a dover preoccupare, ma il pieno che hai dato che deve consolare.

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