rubriche editoriali 2

La fase due

Udine

L’uomo ha bisogno di bellezza, di sperare, di credere, di alimentare la propria anima.  Quindi tutto il tema della ripartenza non potrà avvenire realmente se non riparte l’uomo prima che il consumatore.

Redazione

Seguiamo tutti trepidanti il conto alla rovescia per la “fase due” (che per lo più ci lascerà nella stessa situazione di prima!). E c’è il partito di quelli “che non se ne può più” e il partito di quelli che “ci vuole la massima prudenza”.

Da Domenica scorsa, dopo l’intervento della CEI contro il DPCM per la fase due, anche il mondo cattolico si è diviso. Da un lato chi ha esaltato l’intervento del Vescovi: “Era ora! Basta subire le angherie dello stato!”, dall’altro chi lo ha mal giudicato: “Retrogradi! Un intervento per conservare il potere”. E tanti si sono trovati in una situazione di sofferenza per ciò che è stato detto da una parte e dall’altra.

Ogni posizione portata all’eccesso, soprattutto nella demonizzazione dell’avversario, è un errore.

Proviamo perciò ad affermare alcune cose con pacatezza.

1. Già su queste colonne abbiamo precisato che la cura della persona è più importante della norma ecclesiale, per cui, in nome della salvaguardia della vita umana è lecito non rispettare il precetto della Messa domenicale.

2. Sono poi vere due cose, come le due facce della stessa medaglia. 

Da un lato è difficile comprendere perchè si potrà andare nei grandi magazzini, con determinate regole, e invece non si potrà partecipare a una Messa (tenendo pur conto delle stesse regole di distanziamento sociale).

Dall’altro è sbagliato invocare un’equiparazione, quasi che le Messe e i supermercati possano essere messi sullo stesso piano. 

3. Se per la cura delle persone è legittimo che il governo chieda (come ha fatto finora) alla Chiesa una sospensione delle Messe, è altrettanto di buon senso che la Chiesa ri-aderisca a queste richieste. 

Ma è necessario che queste disposizioni sulla libertà di culto escano dai commi del DPCM e tornino nell’ambito dei rapporti ufficiali tra stato e chiesa. E da qui poi confluiscano nel DPCM. Non confondiamoci: il tema sollevato non deve diventare "Messe subito o mi arrabbio"; il tema che va affrontato seriamente è la libertà della Chiesa nelle sue relazioni con uno Stato laico. E del conseguente rispetto delle sue leggi. 

4. In questi mesi, pur non celebrando le Messe col popolo, l’azione pastorale non si è mai interrotta, anzi, per certi versi si è perfino potenziata e ci siamo trovati a inventare modalità che difficilmente avremmo considerato. È vero che manca molto il poterci radunare a pregare insieme, ma si tratta di una situazione temporanea e per la salute della gente.

5. Sullo sfondo della diatriba c’è un’idea antropologica, cioè dell’uomo nella globalità della sua natura. 

L’uomo non è solo un uomo che lavora, che si ammala, che deve tutelare la salute, il proprio reddito, il benessere della propria famiglia. 

L’uomo ha anche dei bisogni spirituali, nel senso più ampio del termine. 

L’uomo ha bisogno di bellezza, di sperare, di credere, di alimentare la propria anima. 

Quindi tutto il tema della ripartenza non potrà avvenire realmente se non riparte l’uomo prima che il consumatore. 

Purtroppo il grande male di questo secolo, e di questi decenni, è la “tecnocrazia”, cioè il pensare che la felicità dell’uomo, possa essere raggiunta tramite la tecnica, o misurata attraverso il PIL. 

Ci stiamo preoccupando (giustamente) di fare ripartire il consumatore, l’uomo che produce e che mette in moto le filiere, ma l’uomo ha bisogno di trovare dei motivi per sperare e per dare senso al suo lavorare. 

Tutto ciò che anima l’umanità dell’uomo farà rinascere il Paese: la cultura, le librerie, i musei, la scuola, la fede. 

È allora sbagliato leggere la diatriba come rivendicazione di un privilegio di parte. È uno sguardo che deve tornare ad essere globale sull’uomo. Ovviamente, è sottinteso, nel rispetto di tutte le norme, in prudenza, con l’impegno di garantire tutto, ci mancherebbe altro. 

6. Non dimentichiamo, pur riconoscendo il valore dell’Eucarestia quale “fons et culmen” della vita cristiana, quanto scriveva Chiara Lubich nel 1960: “E se le Chiese saranno chiuse, ma chi potrà distruggere il tempio vivo di Dio che è Cristo in mezzo a noi? E se i sacramenti saranno annullati, come non potremo noi abbeverarci a quella fonte di acqua viva che è la carità viva in mezzo a noi, che è Cristo in mezzo a noi?”

7. Facciamo in modo che la situazione che si è creata, non ci divida. Non crei l’ennesima spaccatura. Noi e voi. Noi cattolici e voi atei. Noi laici e voi clericali. Noi coi vescovi e voi contro. Noi col Papa e voi contro Francesco. 

L’unità si dà nella diversità, non nella uniformità.

Così, infatti, è l’unità di Dio: è Uno e Trino. Il monoteismo cristiano è trinitario, è relazione d’amore tra le divine Persone. In Dio l’unità precede e fonda la distinzione. 

Quindi per noi l’unità non è una questione organizzativa, ma teologica. Non possiamo non essere così: questa è la nostra identità.  

Ma il pericolo di confondere diversità con divisione è dietro l’angolo. Occorre vigilare!

 

A cura di Don Paolo - Milano.

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