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La maschera di ferro

L'Udinese deve togliersi definitivamente la maschera che ha indossato fin da luglio scorso, tra errori, speranze e la solita squadra che ha il mercato che, come il vento, ulula tra le orecchie. Ma il decimo posto è importante (per la società)

Monica Valendino

Due giornate alla fine di questo campionato anonimo come del resto ci si attendeva. Poche le cose di rilievo, con l'Udinese che non si è mai tolta la maschera di ferro che ha  indossato da inizio anno, quando chi criticava forse intuiva che mancava qualcosa. Quel 'qualcosa' oggi si traduce  in fame di affermazione, di voglia vera di creare un ciclo. Si sa che Kums andrà via (forse più all'Atalanta che l Watford che non lo reputa ancora pronto per la fisica Premier), si sa che Widmer, Samir, il solito Badu, il solito Thereau sono destinati a fare mercato, così come si sa che Felipe non ha ancora rinnovato e che Zapata andrà al Napoli.

Era difficile creare un gruppo quando tutti erano già inizialmente indirizzati anche inconsapevolmente a un futuro lontano. Il calcio di oggi è questo, vive per il presente, per costruire una squadra da quaranta punti come piace dire ai presidenti.

Che poi magari lo fai, ma il caso sovrano ti fa capire che una Atalanta giovane e sbarazzina fa più di un Genoa esperto. I rossoblu sono una buona squadra, ma forse pagano troppi errori ai vertici. Ma come diceva il grande De Andrè, del Grifo grande tifoso, dai diamanti non nasce nulla, dal letame nascono fiori.

Ecco vorremmo che un po' di letame si sentisse anche a Udine. Significherebbe che si semina. Onestamente il prestito di Velasquez dal Watford, Barak in avanti è tuto da scoprire, i rientri di Pontisso e altri non crediamo possano alzare il tasso tecnico. Lasagna è  giovane e per ora è il primo vero acquisto. Intanto Meret sembra sempre più nel mirino della Juve, Scuffet gioca le ultime gare, forse pensando che qualche occasione l'ha sprecata. Il prossimo anno sarà il suo, ma deve crescere. Rimarrà Jankto, così come Fofana e Danilo. Poi sarà il solito cantiere.

Per ora l'Udinese per togliersi la maschera di ferro deve arrivare decima. Motivi economici, sia chiaro. Ai tifosi un nono, un undicesimo o un decimo posto non cambiano una zeppola.  Ma alla società, che ai soldi guarda da sempre con un certo sguardo interessato, la decima piazza interessa e la gara con la Samp diventa importante. Oddio non sarà Real-Juve, ma nel suo piccolo anche le formiche si incazzano.

Repubblica giorni fa ha spiegato che "stare dalla parte sinistra della classifica è importante, mentredall’undicesimo al diciassettesimo posto ogni società incassa soltanto un milioncino, se il campionato finisse oggi la Samp o l'Udinese prenderebbero 3 milioni e 100mila euro in più".

Noccioline rispetto a quanto prenderà il Watford in Premier, ma è un'altra storia. Qui si fa con quel che si può, come il Crotone, per il quale molti tifano un po'. Non tanto per l'insulto archeologico perpetuato con lo stadio sull'antica Agorà, ma perché con poche risorse è lì a giocarsela. Con l'Empoli che è forse la meno forte tra le tre e quel Genoa che tra letame e diamanti vive da sempre distaccata, perché sempre come cantava De Andrè  su Gesù "inumano è pur sempre l'amore di chi rantola senza rancore perdonando con l'ultima voce chi lo uccide fra le braccia di una croce".

Intanto l'Udinese aspettiamo se si toglierà la maschera di ferro e farà felice Pozzo. Per far felici i tifosi servirà altro, ma il bello del calcio è che c'è sempre un'altra occasione.

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