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GdS – Gasperini: “Ho avuto il coronavirus e ho pensato che avevo ancora tante cose da fare nella vita”

Redazione

In un'intervista alla Gazzetta dello Sport il tecnico della Dea ha rivelato di aver avuto il Coronavirus 

In un'intervista alla Gazzetta dello Sport Gian Piero Gasperini ha rivelato di aver avuto il Coronavirus

“Il giorno prima della partita di Valencia stavo male, il pomeriggio della partita peggio. In panchina non avevo una bella faccia. Era il 10 marzo. Le due notti successive a Zingonia ho dormito poco. Non avevo la febbre, ma mi sentivo a pezzi come se l’avessi avuta a 40. Ogni due minuti passava un’ambulanza. Lì vicino c’è un ospedale. Sembrava di essere in guerra. Di notte pensavo: se vado lì dentro, cosa mi succede? Non posso andarmene ora, ho tante cosa da fare... Lo dicevo scherzando, per esorcizzare. Ma lo pensavo davvero”.

Poi?

“Poi sabato 14 ho fatto un allenamento duro come non ricordavo da anni. Un’ora sul tapis-roulant, più di 10 chilometri di corsa. Mi sono sentito bene, forte. Il peggio era passato. Il giorno dopo Vittorio, chef stellato tifoso della Dea, ci ha fatto arrivare 25 colombe e Dom Perignon del 2008, anno di grazia. Lo assaggio e dico: 'Ma questa è acqua...'. Tullio (Gritti, secondo del Gasp) mi guarda storto: 'Scherzi? È una delizia'. La colomba mi sembrava pane. Avevo perso il gusto. Così Tullio e Marcello, il nostro fisioterapista, si sono mangiati 25 colombe... Sono rimasto tre settimane a Zingonia. Poi a Torino ho sempre rispettato il distanziamento da moglie e figli. Senza febbre non ho mai fatto il tampone. Dieci giorni fa i test sierologici hanno confermato che ho avuto il Covid-19. Ho gli anticorpi, che non vuol dire che ora sono immune”.

Come la vede Bergamo?

“Triste e dignitosa. Una tristezza profonda, spessa, che respiri ovunque, per strada, negli occhi della gente, nei bar e nei ristoranti che tardano a riaprire, nei silenzi del mio collaboratore che ha perso il padre. Tutti vanno avanti, con forza e con un dolore composto. Ci vorranno anni per capire veramente che cos’è successo, perché proprio qui è stato il centro del male. Ogni volta che ci penso mi sembra assurdo: il picco storico di felicità sportiva è coinciso con il dolore più grande della città. Oggi mi sento ancora più bergamasco”.

Città pronta per il calcio?

“Ce lo siamo chiesti più volte. Qualcuno considera 'amorale' ripartire. Io ho visto gente cantare sui balconi d’Italia mentre Bergamo caricava sui camion le proprie bare. Non l’ho considerato 'amorale'. L’ho considerata una reazione istintiva, un tentativo di aggrapparsi alla vita, di reagire. L’Atalanta può aiutare Bergamo a ripartire, nel rispetto del dolore e dei lutti. Ci vorrà tempo per la gioia in piazza e all’aeroporto, ma i bergamaschi sono brace sotto la cenere. Piano piano tornerà tutto. Non c’è un giocatore che si sia allontanato dalla città. Più di uno ha perso peso, che può anche essere la spia di un disagio psicologico. Difficile intuire il sommerso emozionale di tutti. Qualcuno aveva la famiglia lontana. Di sicuro la squadra è rimasta connessa con la sofferenza di Bergamo e la porterà in campo”.

Anche la società.

“Infatti. Avevamo tutto l’interesse a cristallizzare la classifica e a giocarci solo la Champions. Ma dai ragazzi alla proprietà ho sentito solo voglia di giocare. Sono orgoglioso di questa Atalanta”.

Non tutti lo hanno fatto.

“In troppi hanno remato contro il calcio, dimenticando il suo valore economico e sociale. Molti hanno frenato dall’interno, per interessi propri: il peggio. Non volevano giocare per cancellare una stagione negativa. Troppo livore dagli altri sport. Il calcio è bello e piace. Colpa sua? Esiste una legge di domanda e offerta. Ci sono discipline belle da praticare e meno da osservare. Io seguo nuoto, tennis e altri sport solo per eventi importanti, alcuni ogni quattro anni. Il calcio è l’unico che ti dà un coinvolgimento così forte, un orgoglio di appartenenza quotidiano. È un altro mondo”.

Anche a porte chiuse?

“In uno stadio vuoto è più difficile restare concentrati. E invece in un contesto di fatica la precisione tecnica sarà fondamentale. Servirà più attenzione”.

Pressing feroce tre volte alla settimana: si può?

“Certo. Anzi, sarà ancora più premiante contro avversari stanchi. Saremo quelli di sempre. Non abbiamo cambiato neppure in Champions, quando sarebbe parsa ragionevole un po’ di prudenza, contro avversari più forti, in un mondo sconosciuto che infatti ci ha fatto pagare dazio. Sono orgoglioso dei miei giocatori: nessuno è venuto a suggerirmi di fare un passo indietro. Dopo i 5 gol a Manchester, ho appeso una frase di Mandela a Zingonia: 'Noi non perdiamo mai. O vinciamo o impariamo'”.

Buona idea le 5 sostituzioni?

“Pessima. Snatura la partita. Diventiamo basket. Nell’ultima partita possono esserci in campo dieci giocatori nuovi. Come permettere di cambiare motore a metà gran premio. Ci rimette lo spettacolo. Nel finale le squadre si allungano, si scoprono. Viene disinnescato il merito delle squadre meglio preparate che vincono alla distanza. Chi è il genio che sostiene che così si evitano infortuni? Su che basi? Ci si infortuna anche nel primo tempo. Meglio cambiare giocatori da un gara all’altra. Meglio ancora se si fosse applicata l’idea di Galliani: partite più diluite e campionato finito dopo l’estate. I tempi c’erano”.