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GdS – Guidolin: “Il più bel ricordo all’Udinese? Quando eliminammo la Juve dalla Uefa”

Uno dei più amati tecnici bianconeri si racconta a Gazzetta

Redazione

Uno dei più amati tecnici bianconeri si racconta a Gazzetta

Guidolin, partiamo dall’inizio. Dal grande ritorno sulla panchina friulana nonostante non vi foste lasciati benissimo. Come l’ha convinta Pozzo?

“Si era trattato perlopiù di incomprensioni, niente di irreparabile. I rapporti erano buoni. Sarei potuto tornare anche prima, ma ho preferito andare al Bologna e poi fare l’esperienza al Monaco. Mi hanno contattato verso la fine del campionato 2009-2010. Son tornato a Udine con grande piacere perché ritenevo che dovevo completare il buon lavoro fatto nel 1998-99, quando c’era stato anche un grande feeling con la tifoseria e il territorio. Ho preso questa avventura con grande entusiasmo e siamo ripartiti”.

Buon per l’Udinese. Dal 2011-2012 nasce un ciclo da sogno che però parte con l’handicap: 4 sconfitte di fila. Lavori in corso?

“Anche. Ma mi sono accorto giorno dopo giorno di avere tra le mani una buona squadra, poi diventata ottima. Trovavo che il gruppo che avevo ereditato poteva fare meglio. All’inizio abbiamo pagato ancora un po’ la superficialità riscontrata in fase di preparazione. Abbiamo fatto un punto in 5 partite ma non arrivavano i risultati perché subivamo gol abbastanza stupidi. A Bologna per dire avevamo dominato e poi perso per un gol incredibile. Con l’aggiustamento di alcuni particolari e soprattutto con il cambio del modulo, dal 4-2-3-1 o 4-3-3 al 3-5-1-1, abbiamo cominciato a volare”.

Quel sistema l’Italia non lo aveva ancora visto, vero?

“Non era del tutto nuovo, il 3-5-2 era noto, il Napoli lo utilizzava per esempio. Però ho avuto l’idea, diciamo, di costruire un centrocampo foltissimo: spesso infatti lo chiamavo un 3-6-1. Perché Sanchez sapeva fare tutto ma era anche molto generoso. Io avevo un giocatore fondamentale che era Totò (Di Natale, ndr.), che però non aveva grande voglia o attitudini per fare la fase di non possesso. E io non potevo permettermi due punte più Sanchez. Gli ho messo dietro Alexis e l’ho lasciato libero di fare quello che voleva, sfruttando le sue enormi qualità di cannoniere ma anche di rifinitore. Ha fatto segnare un sacco di gol”.

Ci sono tecnici che non si schiodano dal modulo preferito. Lei li ha usati un po’ tutti vero?

“Sì, si. Credo che un tecnico con la T maiuscola deve saper giocare in più modi ed essere convincente, nel senso che percorrendo strade diverse deve far capire ai giocatori che l’allenatore ci crede, solo così i giocatori ti seguono”.

Nessuno si sarebbe immaginato un’Udinese da Champions per due stagioni di fila. E lei?

“Di arrivare così in alto, proprio no. Soprattutto il secondo anno quando sono stati venduti Sanchez, Inler e altri giocatori importanti. Pensavamo di fare un campionato d’assestamento e invece siamo arrivati terzi. Quello è stato un anno miracoloso”.

A proposito di cessioni, l’estate del suo arrivo a Udine è anche l’estate del gran rifiuto di Di Natale alla Juve. Ci ha messo lo zampino?

“No, ha deciso tutto da solo. Poi ho capito il perché, quanto ci tenesse a chiudere la sua avventura lì. È stata una scelta di cuore. Era legato all’ambiente, si sentiva fondamentale, la sua famiglia viveva bene a Udine. Insomma, era un re in provincia, ma pur sempre un re. E mi sono riconosciuto, perché anch’io ho fatto scelte diverse. In carriera potevo guadagnare di più, ma ho preferito altri parametri”.

Di Natale avrebbe funzionato anche in grandi palcoscenici?

“Credo proprio di sì. Il calcio di Totò era quello dei grandissimi, aveva colpi eccezionali. Per me era tra i migliori dieci al mondo. Ma, ripeto, ha fatto una scelta e l’ho compreso”.

Il nino invece è volato verso il Paradiso del pallone. Arsenal, Barcellona. Un fenomeno nato già così o Guidolin ci ha messo qualcosa di suo?

“Si vedeva che possedeva grandi doti e che stava crescendo. Con me aveva già 20 anni ma non aveva ancora mostrato tutto il suo potenziale. Diciamo che con l’Udinese in quel ruolo ha sfondato. E in questo scelta mi sento di avere qualche merito. Perché Sanchez è un trequartista, un numero dieci”.

E poi c’era Handanovic. Quanti punti a stagione regala alle sue squadre?

“Tanti. Era fortissimo già nell’Udinese. Col tempo, l’esperienza e la maturità è diventato un top. Adesso è tra i primi cinque portieri al mondo secondo me. Quell’Udinese comunque aveva ottimi giocatori, da Inler ad Asamoah, a Pinzi. Armero, per dire, con noi ha fatto benissimo, poi non si è più ripetuto. Non so, il ragazzo non era facile da gestire ma le qualità erano di ottimo di livello. Mi è sempre spiaciuto per Floro Flores chiuso da Totò, perché aveva tutte le qualità del centravanti: tecnica, entrambi i piedi, carattere, fiuto del gol. So che non gli ho dato grandi opportunità. Lo stesso vale per Muriel, si è trattato di dover aspettare, ma si vedeva che aveva doti da top player. A Udine comunque è dove si è espresso meglio: 12 gol nel mio penultimo anno. E’ quello che davvero più ricordava Ronaldo il fenomeno, aveva quei colpi lì. Ma non è stato continuo”.

C’erano squadre di un altro pianeta. Ma a livello di rosa l’Udinese poteva competere o no?

“Dico sempre che se avessi mantenuto la squadra del primo anno, potevamo lottare per lo scudetto. Ma era giusto lasciar andare quelli che avevano richieste importanti”.

Le più grandi soddisfazioni?

“Mi ricordo soprattutto i complimenti dei colleghi per come giocavamo. E le grandi prestazioni fuori casa, piene di gol. Ma il più bel ricordo che ho risale alla mia prima stagione con l’Udinese, nel 1998-99, quando abbiamo eliminato la Juve dall’Uefa mandandola in Intertoto. Eravamo arrivati a pari merito in campionato e nello spareggio facemmo 0-0 in casa e 1-1 a Torino. Avevo trovato l’Udinese in Europa e volevo lasciarla in Europa”.

Sente più sua l’impresa con il Vicenza senza stelle o quella con L’Udinese?

“Mah, entrambe le esperienze sono state importanti: 4 anni da una parte e 4 dall’altra. A Udine sapevo che poteva contare su un materiale non proprio da piccola squadra, mentre Vicenza è stata l’apoteosi della Provincia. Non saprei davvero cosa scegliere, sono stati anni di soddisfazioni incredibili”.

Guidolin, per caso non è un po’ presto per uno del suo calibro limitarsi a fare il commentatore?

Sorride. “Sì, può essere. Ho cominciato presto ad allenare e se continua così significa che ho finito prestito. Ma anche per scelte mie. Ho detto tanti no, anche all’estero. Ma non ho ancora appeso la carriera al chiodo. Mi piacerebbe prendere un progetto serio con un presidente serio e lavorare magari coi giovani. Mi è sempre piaciuto far crescere i talenti. Non mi interessano i soldi, potevo monetizzare in Cina o altrove. Aspetto un progetto serio”.

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