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La messa è finita (Di F. Canciani)

La cosa più toccante e significativa del pomeriggio, sprecato attendendo di veder giocare al calcio, è il minuto di silenzio ordinato dal mediocre Abisso di Palermo (nomen omen) in suffragio delle vittime della Prima Guerra Mondiale, che vide...

Franco Canciani

La cosa più toccante e significativa del pomeriggio, sprecato attendendo di veder giocare al calcio, è il minuto di silenzio ordinato dal mediocre Abisso di Palermo (nomen omen) in suffragio delle vittime della Prima Guerra Mondiale, che vide gli italiani entrare come oggi cent’anni fa. E come me mille, centomila altre famiglie contano in casa vittime, sacrifici umani, olocausti inutili. “Cara moglia”, iniziavano le lettere che il mio bisnonno Erminio scriveva alla consorte Filomena dai fronti di guerra ove lo spedirono. Dalla Macedonia non tornò più: disperso, si dice, in battaglia mentre gravemente ferito e con sprezzo della morte lanciava in avanti i suoi commilitoni ed al nemico incalzante una salva di proiettili, prima che una granata lo baciasse. Dicono. Sarà.

Ho esagerato, in tribuna stampa, quando mi sono permesso di dire a voce alta che a questa squadra manca qualità, in panca (da chi dirige) ed in campo (a chi gioca o meglio nemmeno ci prova). Sguardo severo dei decani, seduti sotto di me, ché certe cose si pensano e non si dicono.

A me, stavolta, non interessa il loro parere: credo in ciò che sostengo. E la qualità non si evince solo o tanto da un passaggio sbagliato, dal depiscopiano andamento lento che in campo si vede da troppe gare: deriva, la mia convinzione, dalla tranquillità nonchallante con cui chi dirige l’orchestra e chi si schiera in campo (il calcio è così) commenta l’ennesimo scivolone interno oltreché dalla scarsissima esibizione di doti umane che i bianconeri stanno offrendo ai propri, pazientissimi tifosi.

Non me ne frega nulla.

Usando un frasario che usualmente rifuggo, non me ne frega nulla se pensate di me che vivo nel culto di ciò che fu: ma ricordo tutte, o quasi, le formazioni bianche e nere del remoto o recente passato, e pochissime si sono comportate come questa. Oggi è solo il coronamento di una stagione grigissima, con qualche picco (non casualmente) contro le formazioni da primetime. Basti pensare che l’Udinese in casa ha ottenuto 23 punti su 57, sestultima della serie A. Direte “siamo squadra da trasferta”, dove però i 18 punti vogliono dire 12esimo posto.

Mediocri.

Il Sassuolo ha vinto facendo il compitino, girando la palla ed usando i due ruvidi attaccanti scuola Juve, tali Berardi e Zaza, come teste di ponte per gli inserimenti dei centrocampisti; uno dei quali, il mestierante Magnanelli, indovina un tiro dal limite che risulta, al contempo, vittoria e prima rete in serie A. Una nemesi: contro un undici senza un minimo di anima segna il capitano storico dei neroverdi, uno che vi gioca da undici anni, in tutte le categorie totalizzando più di 300 partite. Lo Xavi sassolese. Chapeau.

Mediocri.

Dopo la rete subita, l’Udinese si è mostrata al solito incapace di variare il ritmo, di divenire incalzante, di mettere l’avversario in area e non farvelo uscire.

Stramaccioni dice che non tira in ballo il rigore (enorme) non fischiato dall’inadeguato fluo della Trinacria (però), che la gara è stata equilibrata, che, che, che...

Che cosa mi aspetterei? Che le gare in casa col Sassuolo non siano equilibrate, bensì dominate. Il DNA di questa gente, di questo campo non deve esulare da certi percorsi.

Ma chiedo troppo.

L’Udinese di quest’anno, lo ripeto, è questa roba qui. Stiamo ancora parlando di “lavoro in prospettiva... Igiovani che hanno giocato poco, a salvezza acquisita devono vedere il campo”; ne prendo atto. D’altra parte mi posso permettere di disquisire di doti umane, di filosofia perlopiù spicciola, non di calcio, scienza in cui coloro che ne sanno mi hanno convinto che l’anno passato il mister andava crocifisso per le medesime ragioni per le quali l’allenatore attuale va sostenuto e confortato, confortati noi dal fatto che questa transizione fa parte del progetto.

Ri-prendo atto. Per i sentimenti contrastanti che nutro verso i due conducatori mi taccio. E sono d’accordo nel confermare l’attuale, dandogli fiducia. Ero solo contrario nel demolire spietatamente il predecessore.

Chiudo, senza sconforto né rammarichi eccessivi, ridando il benvenuto nel calcio che conta a Simo Scuffet, il quale senza l’infortunio di Karnezis avrebbe potuto continuare a studiare in panchina, come per tutto il resto del campionato ivi passato.

Mezza messa, quella casalinga, è finita: domenica prossima, contro la banda Giulini, Eupalla pronuncerà il fatidico Ite, missa est. Non traggo conclusioni, solo un’analogia: per ragioni diversissime, quest’anno l’Udinese nel girone di ritorno ha ottenuto 18 (21) punti; l’Inter 2012-13 ne totalizzò 19. Per ora tertium non datur, lo sarà da agosto prossimo. Curiosi, tutti, di vedere cosa sarà di questa formazione, in campo e fuori. Chiedevo divertimento: continuo imperterrito, dato che se il calcio non è gioia, meglio darsi al badminton.

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