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Disperato, erotico grido

Hoboken. Non è la Jersey shore di quei tamarri di MTV, è l’America industriale grigia piatta, che sa di anni trenta, di navi che arrivano cariche di persone disperazioni e speranze, ché qui c’è l’American dream. Poi  arrivava zio Sal e...

Franco Canciani

Hoboken. Non è la Jersey shore di quei tamarri di MTV, è l’America industriale grigia piatta, che sa di anni trenta, di navi che arrivano cariche di persone disperazioni e speranze, ché qui c’è l’American dream. Poi  arrivava zio Sal e il lavoro te lo forniva lui.

Da qui, alle dieci di sera ora locale (le sette sulla costa ovest) e ormai le quattro del mattino in Italia, dimentico del jetlag che non mi posso permettere, guardo distrattamente la televisione appena giunto in hotel  mentre evado le sessanta mail della giornata di viaggio, ché neanche il valente wireless del treno preso da Philadelphia in ricordo di “una poltrona per due”, c’è una gara di baseball. Non è la Major League, sono le finali del campionato NCAA, università a confronto.

Ed a me sale la carogna in spalla, la delusione di vivere nel Paese più bello del mondo in cui, però, ai ragazzi viene concesso nulla per crescere culturalmente e secondo princìpi di sportività e confronto leali e franchi.

Non ne faccio una questione di vivai italiani: i ragazzi che giocano al baseball negli atenei americani non sono assolutamente tutti autòctoni. Ho avuto modo di discutere con la direzione di questo meraviglioso angolo di sport, nel recente passato, discordi essendo le nostre percezioni di identità e amore per i colori. Il pezzo che avrei voluto comporre probabilmente mi rimarrà nel cassetto, sotto i tasti di una metaforica Lettera 32, ma l’idea resta.

Tutte le formazioni, qual più chi meno, hanno la propria academy in cui, teoricamente si formano i giocatori del futuro. L’Udinese da sempre si distingue per la lungimiranza nel firmare giocatori che vengono dai quattro angoli dell’universo criàto quando ancora la loro età saprebbe più di morosette e serate con gli amici; li accoglie li cresce li èduca, sempre e comunque però in senso del tutto unidimensionale.

Ciò di cui parlo io è il modello statunitense. Le squadre professionistiche non hanno le proprie accademie, ma sovvenzionano più o meno sostanziosamente le università che possono a loro volta crescere i ragazzi con i mezzi più all’avanguardia, selezionandone indole e capacità. Poi alla fine dell’anno gli eleggibili vengono scelti in un draft, nel quale le formazioni meno attrezzate hanno la priorità di scelta.

Impossibile in Italia (ed in Europa)? Sì. Lo so.

Nell’ordine mancano: senso sportivo (per cui il più forte acquista dieci giocatori di cui nove gli risultano del tutto inutili); impianti; cultura della crescita umana morale spirituale prima ancora che agonistica; senso di appartenenza ad una lega, cui si devolve l’intero onere di controllo e chi si permette, avendone sottoscritto le regole, di criticarla adducendo a lutto infernale, ad esempio, la salità in massima serie di formazioni di più piccolo cabotaggio viene preso ed accompagnato senza cerimonie alla porta, non diventando invece consigliori del vecchio tenutario della casa d’appuntamenti calcistici. Insomma, una struttura unidimensionale (quella verticale) dove il denaro sfida la legge di gravità.

E allora fa bene l’Udinese, fanno bene i Pozzo che nonostante i gruppi (ironici, dicono loro) di “tifosi” che ne chiedono maggior esborso economico, nel loro piccolo cercano di gestire i ragazzi più promettenti in maniera multidimensionale, al contempo risultando virtuosa (oltre ogni neccessità, per altro) tanto da potersi iscrivere al campionato venturo senza un minimo patema: quei timori che non toccano formazioni grandi medie piccole solo per totale mancanza di senso di responsabilità e controllo da parte di chi comanda.

È, resterà un disperato, erotico grido che si perderà fra le brume inquinate di Hoboken, New Jersey; forse qualcuno riderà di me, è nel suo diritto e forse fa anche bene; di certo io sono a malpartito pensando al nostor piccolo mondo molto antico. Ma continuerò a scrivere di palle che rotolano, anche quando (e succede purtroppo spesso) queste sono le mie.

Chiedo scusa a Lucio Dalla per aver stuprato il titolo di uno dei suoi pezzi più belli. Quando ci vediamo, fra un po’ caro Lucio, avremo da discutere non solo della mia poca stima per i rossoblù...

(Foto Michela Meret - Mondoprimavera)

"Franco Canciani @MondoUdinese

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