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La fine “politica” del calcio italiano

Il calcio italiano è altamente politico, ma non per adesione a qualche partito politico, bensì per la strenua difesa dei propri privilegi. Vive di un passato glorioso nel quale Sacchi, Capello e Ancelotti fecero vedere i sorci verdi...

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Il calcio italiano è altamente politico, ma non per adesione a qualche partito politico, bensì per la strenua difesa dei propri privilegi. Vive di un passato glorioso nel quale Sacchi, Capello e Ancelotti fecero vedere i sorci verdi all’Europa. Ultimamente anche Mourinho ha vinto, ma di italiano c’era ben poco. Così le squadre giocano male che peggio non si può, i presidenti fanno fallire le società senza che nessuno se ne accorga, i giocatori vogliono guadagnare ma hanno poca voglia di correre.

Lasciamo perdere il bel gioco. In Italia solo Lazio, Fiorentina, Empoli e Napoli meritano il prezzo del biglietto (o l’abbonamento mensile alle pay tv). Il resto è poca cosa: partite dove si sprecano mediocrità e paure. Dove il 352 che inizialmente fu quello di Sanchez Di Natale, è diventato un catenaccio per annullare un altro catenaccio. Allenatori su allenatori che non hanno idee, coraggio, capacità di imporsi sul gruppo.

Le difese a tre non esistono più: si difende in cinque, e si giustifica il tutto con il calcio moderno. In realtà è un semplice ritorno alla mediocrità del catenaccio. Dove non si ha nemmeno il coraggio di attuare un sacro santo contropiede, rivalutando le sgroppate di un buon attaccante. Se Toni e Di Natale segnano ancora, se Totti può ancora fare la differenza, forse c’è qualcosa che non va. Perché i giocatori giovani non hanno voglia di sacrificarsi e di imparare. Non è questione di amare la sofferenza, la fatica. E’ un qualcosa che non c’è nel DNA delle società e degli allenatori, figurarsi dei giocatori. Il calcio è business, e non penso sia sbagliato. Da che mondo è mondo la ricerca del risultato porta alle vittorie. Il problema è che il business non è più la vittoria, ma la vendita dei giocatori o la vanità delle proprie decisioni. Vendere, vendere, vendere! Io, io, io! Una volta era basilare vendere dopo aver ottenuto risultati, ora comandano loro, i procuratori, sul campo e in società.

Davanti alla tv guai a dire che il calcio è in crisi, se non per portare acqua al proprio mulino, e non al mulino del sistema. E gli allenatori, belli quelli. Mai nessuno che dica: "Ho fallito". Mai nessuno che ammetta che con la rosa a disposizione avrebbe dovuto fare di più. No, tutto va sempre bene, le società sono fiduciose. Un po’ come quei musicisti che suonavano sul Titanic mentre affondava. Eccola la politica. Se Lupi non si dimette, perché dovrebbe Inzaghi? Se Renzi non riesce a fare le riforme che aveva promesso e si deve accontentare di quello che gli fa passare il convento (parlamento), figurarsi se Galliani debba ammettere che l’annata è fallimentare. E sull’altra sponda milanese le cose non vanno certo meglio. L’Inter di Mancini sta facendo addirittura peggio di quella di Mazzarri. Il tecnico toscano aveva capito benissimo che la coperta era corta: se non voleva prendere caterve di gol, doveva per forza sacrificare un po’ (molto) del gioco d’attacco). All’Inter sono riusciti nella mirabolante impresa di comprare giocatori di tutti i ruoli e le nazioni tranne che un buon libero (o centrale di difesa come si dice ora in "politichese"). Il DS dell’Inter ha forse dato le dimissioni, ha forse detto è colpa mia?

Paradossalmente, guarda un po’, proprio dalla "corrotta" Roma (per la politica nazionale e mafia capitale, non me ne vogliano i romani) arriva un esempio di onestà e onore. Sabatini, il miglior DS italiano, si è preso le colpe del tracollo giallorosso. La Roma perde e lui ha sbagliato il mercato di gennaio. Perché lo ha sbagliato davvero quel mercato: ha venduto le uniche due prime punte in rosa e non ne ha comprata nessuna. Capita, questo non lo rende meno bravo di prima. Semplicemente ha sbagliato una sessione e i risultati si vedono.

Sponda Udinese: l’anno è buono, come detto da Giaretta e Stramaccioni, o negativo, come pensano alcuni tifosi? Se consideriamo la formazione titolare, dire che è negativo è dir poco. Se invece consideriamo il cambiamento, l'ultima stagione e qualche uscita di troppo della società, allora troviamo qualcosa in più di positivo. Ma anche qua c’è un difetto di onestà. La classifica dell’Udinese non rispecchia i valori della rosa, il gioco che si vedeva all’andata è stato per molte gare un flebile ricordo risvegliato domenica sera. Il prossimo anno bisognerà cambiare qualcosa di sicuro. Ma chi comanda, ha ancora il senso di autocritica che ha reso l’Udinese la settima sorella del campionato negli ultimi venti anni, o si è fatto inghiottire dai fluttui del calcio italiano?

©Mondoudinese

 

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