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L’Udinese e le grandi domande

Il calcio di oggi sembra sempre più diviso tra due anime: quella commerciale gestita dai padroni del vapore e quella passionale dove si rispecchia la maggior parte dei tifosi. Molti dei quali stanno scappando e gli stadi semi deserti dovrebbero...

Monica Valendino

Il calcio di oggi sembra sempre più diviso tra due anime: quella commerciale gestita dai padroni del vapore e quella passionale dove si rispecchia la maggior parte dei tifosi. Molti dei quali stanno scappando e gli stadi semi deserti dovrebbero far riflettere. Perché c'è la crisi, c'è la tv onnipresente, ma è anche vero che molti appassionati non si rivedono più in discorsi che con lo sport hanno poco a che fare.

Prendete la questione 'naming', mal gestita e ancora peggio interpretata dalla politica. La convenzione firmata tra le parti anni fa diceva che il nome  'Friuli' non si sarebbe dovuto toccare. Punto. Poi il politichese, come lingua, va interpretata e nessuno sembra intenzionato a cambiare nome, ma solo ad abbinarlo a quello dello sponsor. Che poi è la stessa cosa: perché chi di voi, attenti lettori, si ricorda di chiamare lo stadio di Reggio Emilia 'Tricolore d'Italia'?. Tutti lo chiamano 'Mapei', i più vecchi - forse - ancora 'Giglio'.

Il punto è che una volta che il primo nome viene dato, il secondo diventa come quello personale sulla carta d'identità: superfluo.

Al di là di questo la domanda vera è un'altra: vale la pena per le cifre che si leggono in giro (nessuno le ha sconfessate) fare questo percorso? In fondo il valore di un calciatore, anche mediocre, rende di più.

Per cui, forse, a livello comunicativo servirebbe far luce su questo, lasciando da parte posizioni e interessi. Si spieghi perché si deve rinunciare a un simbolo per avere una manciata di milioni in più.

Poi si guardi al campo che, come ha detto giustamente Adriano Galliani, è l'unica cosa che conta, l'unica dove il nome sul simbolo vale più di quello stampato sulle maglie dietro la schiena o davanti come sponsor.

Ecco, se le cifre riportate servissero a un ulteriore miglioramento della rosa, allora ben vengano, altrimenti si faccia marcia indietro, perché la passione ha altrettanta importanza nel contesto sportivo. Il calcio non è un'azienda anche se molti la pensano così. Lo sport, anche se gestito managerialmente, ha una sua identità specifica che va preservata.

E in questa peculiarità si inserisce la gente, per la quale lo spettacolo non è solo paillettes e lustrini, ma anche sudore e vittorie.

L'Udinese ha perso anche Pinzi, l'ultima vera bandiera, e su questo argomento è inutile proseguire senza avere ancora chiara la situazione che ha portato al divorzio. C'è la squadra bianconera da difendere e incitare, perché Colantuono o e i ragazzi non c'entrano nulla con tutto il resto che gli sta attorno.

La rosa è affidabile, ma rimane sempre quel grosso punto di domanda relativo al centrocampo, già negli ultimi due anni il reparto più fragile.

Guilherme è stato confermato, anzi 'promosso' a volante (come si chiama oggi il metodista...): ma il brasiliano, al di là dell'infortunio tutto ancora da decifrare per i tempi di recupero, potrà mai avere il passo giusto per interpretare al meglio questa posizione? Che poi è una domanda retorica, ma fino a un certo punto. Perché col 3-5-2 è il fulcro del gioco, è colui che deve raccogliere dai difensori il pallone e smistarlo, senza ricorrere a quelli odiosi e inutili lanci lunghi, compagni di viaggio recentemente degli schemi bianconeri.

L'alternativa ad oggi è data da Badu e Iturra, due che con i piedi preferiscono correre per fare legna (sempre usando nuovi modo di dire), piuttosto che dare fantasia.

Meno pensieri li danno le mezzali, con Kone e Fernandes che di fantasia ne hanno eccome, ma devono confermare anche di essersi definitivamente disciplinati, abbandonando l'anarchia tattica a cui ci avevano abituati.

Poi le ali: qui c'è solo l'imbarazzo della scelta a dire il vero e anche in proiezione 4-4-2 si è coperti e ben assortiti. Tanto che è arrivato perfino Insua (ex Boca, laterale sinistro) per il quale sorge un'altra domanda: chi gli farà mai spazio?

D'accordo la concorrenza, ma attenti anche a gestire eventuali scontenti.

Insomma a Udine e all'Udinese è ancora tempo di grandi domande. Per le risposte deleghiamo i diretti interessati.

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