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Potere ai giovani e la “parola con la effe”

Udinese calcio Simone Pontisso Bruseschi

Se continua così, anche il Papa chiamerà Mondoudinese per accodarsi alle migliaia di persone (anche vip) che stanno partecipando alla petizione sul riconoscimento  del titolo 1896 vinto dalla Ginnastica Udinese contro Ferrara e Treviso. Lui...

Franco Canciani

Se continua così, anche il Papa chiamerà Mondoudinese per accodarsi alle migliaia di persone (anche vip) che stanno partecipando alla petizione sul riconoscimento  del titolo 1896 vinto dalla Ginnastica Udinese contro Ferrara e Treviso. Lui chiama tutti.

Vi siete mica chiesti come mai nessuno (tranne l’ineffabile Direttrice di questo giornale) ci abbia pensato prima? Perché manca l’intelligenza? No. Perché ormai l’ambiente bianconero, inguaribilmente distinto in opposte fazioni (tranne noi che siamo podosfanarchici e ci vantiamo di sbattercene) si è all’unanimità fossilizzato sul pensiero ricorrente che il calcio comincia, a Udine, nel 1986 e chi ricorda qualcosa avvenuto in precedenza viene etichettato come matusa, irriconoscente. Per questa mia posizione ho chiesto e chiedo scusa: ora Voi però Vi accodate. Lo apprezziamo.

Io avrei chiesto altresì, sulla scorta dell’improvvida richiesta di Cairo, la restituzione del secondo posto della migliore Udinese della storia, quella del 1954-55. Tutti sanno che a Busto, uno o due anni prima, qualcosa sarà pur successo ma manca la pistola fumante dell’illecito consumato.

Io però parlerò del presente, raccontando a chi magari non se lo ricorda un aneddoto che risale a trentaquattro anni fa.

L’Udinese-oggi (detto e stradetto) è squadra di molti vecchietti, privi di qualità apparenti se non quella di appartenere al dorato mondo ispano-britanno-italico afferente alla famiglia dominante. Va bene, nessun problema. Si dirà che dietro, fra i classe novanta-e-qualcosa, non c’è nulla.

Davvero?

Non mi pare proprio. I Coppolaro, i Borgobello, soprattutto i Prtaijn, i Pontisso e gli Armenakas non sfigurerebbero, oggi, al posto di navigati compagni che stanno dando povera prova di sé. Sono veloce, Vi precedo nella frase italica ed italiota che contraddistingue il mammismo di questo paese per vecchi: “sono giovani, buttati nella mischia in un momento di difficoltà correrebbero il rischio di bruciarsi”. Certo: mandiamoli a macerare nelle serie inferiori per dieci anni, poi a ventisei primavere con trenta gare disputate fra Roccacannuccia, Viadanese, Orzincoli si perderanno e dovranno riciclarsi a fare altro, ché il calciatore non è più cosa per loro.

A tutti questi, che probabilmente (e Vi invidio, giovani amici miei) non sanno chi sia Paolo Miano se non per filmati sbiaditi e foto ottantine, racconto l’annunciato aneddoto.

Correva l’anno 1980. L’Udinese, fresca di retrocessione e ripescaggio in massima serie, si presenta ai blocchi di partenza con un allenatore nuovo, Marino Perani, ed una rosa rinfrescata dall’arrivo, fra gli altri, di Herbert Neumann, Luciano Miani, Attilio Tesser e Nick Zanone. Perani non fa quasi nemmeno in tempo ad esordire (tre gare) che se ne va; viene temporaneamente promosso Enzo Ferrari, 0-0 contro la Viola, poi arriva Gustavone Giagnoni, colbacco e cappotto di montone sopra tuta e scarpini da calcio. Ma una carriera quasi tutta alle spalle: al giro di boa i bianchineri sono desolatamente in fondo alla classifica. Sanson decide di dare il benservito anche al sardo, affidando definitivamente una squadra quasi certamente retrocessa, in previsione della ricostruzione in cadetteria, al tecnico della Primavera, come già alla quarta d’andata. Enzo decide di portarsi in prima squadra metà formazione espoirs: Macuglia, Papais, Zé Paolo Miano, Manuel Gerolin; dà minuti e fiducia a Gianfranco Cinello e Loris Pradella; li mescola con Fanesi, col carnico dagli occhi di ghiaccio Sergio Vriz, con  Charlie Della Corna, Fulvio Fellet che le giocherà tutte o quasi. Si arriva alla fine punto a punto con Brescia e Ascoli. L’epìlogo contro il Napoli suona ancora come leggenda (anche se le voci di corridoio parlano di qualche sfiorito tulipano olandese che tal miracolo lo agevolò). Salvezza fu.

Allora il signor Colantuono Stefano, di professione allenatore dell’Udinesecalcioessepià, mi ascolti, una volta sola: rischi. Osi. Metta in campo i giovani pretoriani di Mattiussi. Non chiedo trenta gare per Pontisso o Coppolaro, ma dia loro la fiducia che si meritano dato che, in fondo, non metterà a repentaglio una salvezza che non pare diversamente agevole (o difficoltosa) se in campo ci andassero sempre e solo i senatori. Certe volte mi piacerebbe che le parole, i pensieri stereotipati, che dicono di potere ai giovani non fossero vuote dichiarazioni demagogiche e populistiche; le mettessero in pratica, una buona volta.

In inglese si usa il termine “f*** word” per descrivere quelle quattro lettere che in italiano, spesso catarticamente, vengono utilizzate (in una forma più lunga e complessa) per spedire dove non cuoce il sol chi non ci aggrada. Catartiche, dicevo: anche per me. Showtime, signori: altrimenti...

Altrimenti, signori, f*** per aver spedito Verre in serie B, Angella nella Championship, e Vydra, Ighalo, tutti i giovani più ardimentosi del “vivaio” friulano a far flanella in giro per il mondo.

Altrimenti, signori, f*** per non darmi l’occasione, mai ma proprio mai, di entusiasmarmi anche solo per un brocchetto di centrocampo modestamente impostato.

Altrimenti, signori, f*** per esserVi presi i miei momenti migliori riempiendoli di una depressione che non serviva e non mi meritavo, togliendoli alla mia famiglia che ormai mi guarda compassionevole. Meno male che sta per iniziare l’Anno Santo della Misericordia.

Bene ha fatto chi ha citato gli undici giovanotti che vinsero quel concorso ginnico (non un campionato, dai, non scherziamo) alla fine del XIX secolo: baffetti severi, sguardo intenso, posizione marziale di chi non lascia passare nulla. Gente che probabilmente faceva il panettiere, il fioraio, l’agricoltore, e dunque capiva l’importanza ludica e ricreativa del foot-ball.

Fra 48 ore c’è il Frosinone. Non il Barcellona: il Frosinone. Leggo dichiarazioni che invitano a prudenza, rispetto, “gara difficile contro un avversaria ostica”. Il Frosinone: non l’Ajax di Crujiff (a proposito, campionissimo, auguri e non mollare). A fagiuolo l’intervista del maestro Petiziol al maestro Zaccheroni Alberto, di mestiere materializzatore di sogni. Temiamo il Frosinone. Non temevamo neanche la Juventus di Lippi, vincitrice di una Champions League. Capisco il calo di tasso tecnico, ma non basta: stadio nuovo: fatto. Imbastardimento della nobiltà biancanera in campo: fatto. La Primavera di Miano e Petrella devastava al vecchissimo Moretti la Juventus di Celeste Pin, che raccoglieva una bottiglietta dal campo e chiedeva all’arbitro di sospendere la gara (ricevendone in cambio una salva di insulti dagli spalti); quest’Udinese teme Carpi, Bologna e Frosinone. Si vede che me lo merito. Allora f*** anche a Voi giocatori dalle multicolori scarpine cenerentolesche. Con vicinanza, affetto, amicizia e simpatia. E senza alcun intento offensivo.

PS – a tutti coloro che si sentono offesi dal mio pezzo, offro una carezza e una promessa: o qualcuno in campo cambia registro, oppure col cappero che cambio tono.

Franco Canciani @MondoUdinese

 

 

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