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Sensi unici, sensi vietati, doppi sensi

Marco. Porzio. Catone. Se ne torna da un’ambasciata cartaginese, il valente politico romano, e convinto dell’inutilità di mettersi d’accordo con i nordafricani d’oggi, guarda i senatori e dice, con piglio severo, “delenda Carthago...

Franco Canciani

Marco. Porzio. Catone. Se ne torna da un’ambasciata cartaginese, il valente politico romano, e convinto dell’inutilità di mettersi d’accordo con i nordafricani d’oggi, guarda i senatori e dice, con piglio severo, “delenda Carthago est”. Attualizzando, tradurrei con “fossi in voi, distruggerei Cartagine”. E siccome i componenti la Camera Alta, oggi come ieri, non brillano certo in iniziativa, ripeteva la medesima frase alla fine di ogni intervento. Tanto per gradire.

Non ho maturato, capirete, una benché minima simpatia per questo martello dialettico. Lo traducevo al liceo: voti buoni, nulla più. E una volta ancora vi chiederete il perché io scriva di queste cose dovendo parlar di pallone. Semplice.

Domenica sera ho scritto del post-gara di Félsina. Soprattutto dell’improvvida frase del trainer bianco e nero, che considererebbe dovuta la scarsa ambizione, ciò a difesa del minimo sindacale che al massimo i pedatòri offrono di ‘sti tempi (‘a sarvezza).

Ho avuto la colpa, e l’avrò ancora, di condividere i miei pezzi con gli amici sulla rete sociale più famosa, io che di amici virtuali ne ho circa il 2% della media accettabile per essere popolare. Amen.

Beh, mi sono stupìto. A parte alcuni commenti, come quello dell’amico Mario con cui abbiamo condiviso l’epopèa ascensoriale fra serie cadetta e massimo palcoscenico negli anni ottanta e novanta, ed ancor prima l’era Arturiana, beh tutti mi rimandavano al Watford; ai presunti o reali interessi finanziari della famiglia Pozzo; al loro disinteresse nei confronti del 1986 in bianco e nero.

Ho cercato disperatamente di spostare l’obiettivo dalla dirigenza, ritenuta da molti unica responsabile del poco divertimento di questi tempi. Niente da fare. Alla fine, pubblicamente, ho alzato le mani e preso atto di aver torto, di potermi ritirare sconfitto atterrato battuto da una logica ferrea. Ma profondamente errata, e lo dico da imprenditore (seppur di piccolissimo cabotaggio).

Perché le responsabilità della società nei propri massimi dirigenti è palese; perché la prima colpa quando le cose non vanno bene, soprattutto per un tempo così lungo, è dei vertici e non certo della base. Ma quando si criticano persone, società, quando si dice fa bacia lettera o testamento bisogna essere precisi. La metonìmia da bar non va bene ove le parole restino scolpite su un sito pubblico, dove appunto si rende tale il proprio pensiero. Ci vuole precisione. Ebbene sì: sono pignolo e rompiscatole ma so che mi amate per questo.

Leggo termini come holding usato a sproposito. Avrei voluto lanciarvi una fatwa e costringerVi a leggere cento battute di pedante spiegazione su perché Vi dica ciò. Sento che Gino non tiene più all’Udinese: guardate che quello il cui cuore un po’ ci batteva era il padre, Giampaolo, non il figlio. Costui da sempre ha espresso un feeling esteròfilo, che ha trovato nel Watford il proprio fenomenale coronamento.

Non mi sorprende quindi, oggi che al timone vi è questi, che all’Udine si pensi sempre meno. E, coincidenza fra le coincidenze, ciò avviene nell’anno in cui il fairplay finanziario rende caute le spese di molte società, le comproprietà escono di scena e le rose sono ridotte a venticinque elementi. Io continuo a sostenere la poca lungimiranza nel costruire un portafoglio di giocatori in maniera così diversa dal passato: ultratrentenni scartati dalle altre due squadre del progetto; qualche svincolato di ritorno; la partenza di idoli della tifoseria; unica acquisizione di un certo valore tecnico, un ventiquattrenne (cui auguriamo pronta guarigione: ci vediamo presto, panteròn!) in prestito biennale (ma se esplode prima, se ne va anche a fine di quest’anno con leggera contropartita economica).

L’Udinese ha venduto l’ultimo vero campione, come dicevamo pochi giorni fa, quando il Barcellona si prese Alexis. In cambio negoziarono il figlio di Mazinho, Thiago Alcàntara, che rifiutò il traferimento, ed oggi è un bellissimo campioncino del Bayern. Sliding doors: da lì in poi la qualità scese progressivamente: causa della società, certo; ma anche di una serie di allenatori sempre meno convincenti, a cominciare dalle ultime due stagioni di Guidolin fino all’attuale salvezzaro anziate.

E in campo, per quanto siano qualitativamente non eccellenti, molti, troppi giocatori spesso non sembrano dare il massimo. Da tre anni giocano bene a sprazzi, benino qualche volta, male o malissimo troppo spesso. Non può essere sempre e solo cagione di chi dirige, se l’operaio si ostina a tornire storto il pezzo affidatogli.

Ma tutto questo è storia, così come la vittorietta di domenica scorsa. Mercoledì è un giorno collinetta, da domani saranno meno i giorni mancanti al Genoa di quelli trascorsi da Bologna. E per dare qualche modestissimo giudizio sul momento della squadra bisogna vedere quale continuità i bianchineri di Colantuono daranno alla stagione.

Quello che volevo significare con le mie parole, nello scorso pezzo, è spiegabile ancor meglio con i dettami di base del codice della strada: per ogni squadra, atleta, essere umano l’unica ambizione deve, deve, deve essere il miglioramento continuo; lo stesso per i sostenitori, ché la finiscano di pensare al Watford se vogliono mantenersi il fegato in ordine. Tanto Vi conosco, mascherine: abbaiate, abbaiate, poi incontrate i tanto vituperati dirigenti tecnico giocatori fuori dallo stadio e il massimo dell’improperio è chiedere di farsi una foto assieme. L’ambizione al successo è un senso unico, ma il senso unico non diventi sinonimo di pensiero troppo semplice per le Vostre non ridotte capacità mentali. Lo sappiamo bene che il campionato, come la vita, è un’autostrada a più corsie, la nostra che va e tutte le altre che ci vengono contro, quasi avessimo affrontato un senso vietato: l’importante è mantenere la concentrazione, l’impegno, la dedizione e la volontà di mostrarsi al meglio. Allora forse Widmer, Heurtaux, gente delusa per la mancata cessione, si ritroveranno gran bei giocatori che potranno decidere di far bene a Udine o andarsene. Perché oggi, amici miei, non vi raccatta nemmeno la Rozzanese.

 

 

 

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