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Si stringano a coorte     

Non Vi annoierò, amici miei biacca e carbone, con le dissertazioni sulla traduzione di lunghe versioni dal latino, in cui mi si magnificava la romanissima e brillante invenzione della potente coorte e dell’agile manìpolo; de l’Africano che...

Franco Canciani

Non Vi annoierò, amici miei biacca e carbone, con le dissertazioni sulla traduzione di lunghe versioni dal latino, in cui mi si magnificava la romanissima e brillante invenzione della potente coorte e dell’agile manìpolo; de l’Africano che usò indistintamente i due sistemi per vincere le guerre Puniche; siamo in pace, spero che ci si stia nonostante i venti contrari che soffiano da Sud-Sudest. Mi sa che presto toglieremo i fiori dai nostri Tornado.

La coorte però, sistema organizzativo bellico che si adatta perfettamente alle battaglie in campo aperto, assieme al verso dell’Inno Nazionale che la cita, mi è salita in mente pensando all’attuale situazione biancanera: morale, di condizione fisica, di gioco.

Mi perdoneranno i meno inclìni alla critica, se dico loro che domenica passata per larghi tratti il Genoa ha dato la paga ai casalinghi, girando la palla senza che i friulani riuscissero a creare dei break in contropiede affidandosi in vece a inutili lanci lunghi. Quasi davanti ci fosse un panteròn a difendere palla attendendo l’arrivo dei compagni.

Ecco. Zapata.

Ho iniziato a seguire, per la prima volta dopo trent’anni, l’Udinese dalle amichevoli, quest’anno. Me le sono viste praticamente tutte, notando come la squadra era riuscita ad incamerare i margini di crescita progressivamente proposti, fermandosi però sul più bello. Dopo una serie di belle prestazioni, come quelle di Klagenfurt e la trasferta greca, fatto salvo per un episodio a Lienz contro l’Ingolstadt, la marcia di avvicinamento si è interrotta, bruscamente. Sconfitte nelle amichevoli, vittoria non particolarmente brillante contro il Novara in Coppa Italia (sinora unica affermazione ufficiale al rinnovato Stadio Friuli), l’episodio positivo di Torino e poi sconfitte in serie. La dirigenza è corsa ai “ripari” acquistando un paio di ex bianconeri svincolati per sistemare difesa e centrocampo, con risultati non del tutto disprezzabili (non mi affido ai voti cartacei per valutare le prestazioni).

Ma una rosa nata male non si ripara in corso d’opera. L’Inter a metà della scorsa stagione acquistò fra gli altri Brozovic, Podolski e Shaqiri, colpi milionari; oggi Poldi è in Turchia, Shaqiri in Inghilterra, Brozovic a Milano ma praticamente quasi fuori squadra.

Per questo i nomi che girano attorno all’Udinese per sistemare l’attacco, i vari Paoloucci e Palladino per intendersi, credo e spero siano boutade che possano riempire spazi di giornale, non posizioni in campo.

Zapata, se tutto va bene, si rivedrà ai primi disgeli; Guilherme idem o poco prima: l’Udinese e il suo allenatore in primis dovranno far di necessità virtù e mostrare finalmente la compattezza del gruppo.

Nel reparto offensivo, fra l’altro, ci sono in rosa giocatori (Aguirre, Perica, financo Lucas Evangelista) visti poco o mai sinora; a loro dev’essere data fiducia, fino a quando Duvàn non potrà tornare a distendere i cingoli in campo. Perché è chiaro che i quattro mesi sono quelli stimati per la perfetta guarigione muscolare, ma da lì in avanti ci sarà da calcolare anche il tempo per riprendere confidenza con le partite; e la convivenza con la paura, umana ed iniziale, nello stendersi in corsa senza pensarci. Ed è subito primavera.

Non c’è tempo ovviamente per attendere così tanto: la squadra deve svegliarsi, oggi.

Lo deve fare Cirillo Théréau: lasci la baguette in spogliatoio, sorbisca un gratificante sorso di Pernod o d’Absynthe e riprenda da dove aveva finito, allo Juventus Stédium (s’il Vous plait apprezzate la sapida raccolta di stereòtipi transalpini ed indolenti).

Lo deve fare Bruno Fernandes, il Godot bianconero che da tre stagioni promette scintille ma produce tanto, troppo fumo. I colpi sporadicamente mostrati testimoniano di classe innata; è un 1994 ma se “ne ha” questo è il momento di mostrarlo.

Lo deve (ri)fare Edenìlson, uno che in precampionato macinava tutto e tutti ma oggi si è intimidito, forse pagando un inizio troppo sprint o una preparazione magari perfettibile. La fascia laterale attende lui, ed Alì dalla parte opposta, arrembanti e non più remissivi come domenica passata.

Lo deve fare Pana Kone, podosferoi greco-albanese, giunto l’anno passato con l’investitura di fiore all’occhiello e languente tristemente in panca. Il cross di Torino, assieme alla rete di Napoli nella scorsa Coppa Italia, sono finora gli unici episodi positivi di un biennio grigio, ma grigio grigio.

Lo deve fare il gruppo, come detto dovendo mostrare a noi e a tutti i tifosi di essere tale. La fortuna non ha assistito i bianchineri, afflitti da una serie importante di infortuni (incluso Merkel) che ha amputato gravemente centrocampo e attacco; ma chi subisce onte del genere deve convincersi che la sfortuna non esiste, che il calcio è un giuoco complicato ma al tempo stesso semplicissimo dove però bisogna saper colpire la palla con destrezza. Non saranno professionisti per caso. Credo. Spero.

Lo deve fare il mister. Un sergente di ferro come veniva dipinto all’arrivo a Udine viene oggi chiamato all’impresa più difficile della sua carriera: perché a Bergamo cinquanta punti come limite massimo raggiunto se li ricordano ancora con gli occhi lucidi; qui recentemente si è giunti terzi e quarti, davanti a corazzate assolute. E oggi anche lui è obbligato a dare qualcosa in più del “seimenomeno” che oggi come oggi contraddistingue la sua personalissima annata. C’è tempo e spazio per recuperare, iniziando da lui. Lo attendo: non al varco, niente di minaccioso. Ma lo attendo.

Soprattutto lo deve fare la società e la dirigenza. Sinora, e questo me lo consentirete, l’annata non li ha visti protagonisti assoluti: né nella valorizzazione, né nel rinforzo della squadra, tantomeno nel rapporto con la piazza. Abbiamo detto e ridetto delle concause che hanno “causato” tutto ciò, non ci ritorneremo sopra; né mi interessa rivangare numeri e cifre delle tre squadre europee che vedono la famiglia Pozzo coinvolta nella gestione. Perché? Perché da persona mediamente intelligente io mi impegno in ogni cosa come se fosse l’unica della mia vita, e lo stesso mi attendo da ogni altro imprenditore. Per cui mi devo convincere che se l’Udinese da tre anni mette assieme formazioni meno riuscite non è perché chi dirige pensa ad altri paesi, ma per erronee valutazioni e mancate prestazioni di giocatori considerati pedine-chiave della formazione. Tutto qui.

La dietrologia non mi appartiene: la trovo divertente, ma non ne faccio materia di discussioni interminabili. Non sono così tanto totalmente dipendente per cui alle volte, come dicevo non più tardi di tre giorni fa, devo scusarmi per le idee che esprimo, in libertà autonomia onestà. L’intero apparato però deve stringersi a mo’ di coorte e ribaltare le nefaste previsioni che si addensano sulla squadra, di questi tempi. Fra coloro i quali devono dare di più non ho indicato il pubblico: non per dimenticanza ma per convinzione. I tifosi hanno sostenuto la squadra anche in momenti nei quali altri stadi avrebbero mollato (come sullo 0-3 contro il Milan): mi piacerebbe che chi detèrmina se ne ricordasse. Perché la conformazione del nuovo stadio favorisce ed amplifica le voci. Ma unn Friuli senza tifosi magnificherebbe il vuoto. Ed il silenzio. (Foto Zimbio)

 Franco Canciani @MondoUdinese

 

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