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Udine, Europa: dove si sta costruendo il calcio sfruttando le incertezze continentali

L’Europa che conosciamo è davvero utopia voluta nella politica dalla Germania e nel calcio dalla Francia (Platini docet)? Il dubbio è lecito, perché il Vecchio Continente in entrambi i casi parla di cambiamenti, ma la sensazione è che pochi...

Monica Valendino

L’Europa che conosciamo è davvero utopia voluta nella politica dalla Germania e nel calcio dalla Francia (Platini docet)? Il dubbio è lecito, perché il Vecchio Continente in entrambi i casi parla di cambiamenti, ma la sensazione è che pochi li vogliano. In un caso bloccati dalle banche, nell’altro dalla ricchezza nata da leggi che i club stanno sfruttando, almeno finché il castello non crollerà.

Europa Europa: quella vera, quella della crisi, quella della disoccupazione e degli immigrati, quella delle mille diversità che faticano ad omogeneizzarsi, quella dell’apertura sempre verso nuovi paesi ‘a rischio’. Poi c’è L’Europa del calcio: se la prima è nata per volere delle banche più che dei popoli, la seconda è nata in una sala giudiziaria, dinanzi a un misconosciuto giocatore (Bsoman) che ha stravolto regole e sconquassato campionati. Entrambe vanno cambiate, tempo non ce n’è più.

L’Europa politica chiede nuove norme, più certe, un potere che non sia solo finanziario, fatto di parole atte solo a riempire la bocca dei politici: viene da ridere quando parlano di ‘spending review’ (revisione della spesa), ma vien ancora più da ridere quando si pompano di risolvere il problema lavoro con il ‘Job act’ acronimo americano varato da Barak Obama intraducibile per noi. Ci sono altri esempi, ma sono solo essi stessi l’esempio di come la politica sappia parlare bene, ma agire male. Nulla è stato fatto in 60 anni per l’Italia e se a metà del secolo scorso si doleva dare un’idea di unione europea con la CEE, oggi quest’idea è naufragata.

Nel calcio non è diverso: si è lasciato che i poteri economici avessero la meglio: gli stranieri costano poco (guarda caso come i lavoratori di qualunque nazione), e vengono preferiti al lavoro autoctono, magari migliore, ma senza appeal economico. Così si è arrivati addirittura falsificare passaporti pur di avere un europeo anche se nato in Uganda, si naturalizzano giocatori per parentele lontane, come quelle che fanno sognare eredità da un vecchio zio americano.

L’Europa che è stata confermata anche nelle recenti elezioni non ha nulla di diverso da quelle precedenti: un esempio è che la maggior parte dei lettori, magari, nemmeno sapeva se si dotava col proporzionale o col maggioritario, quanti seggi aveva diritto l’Italia, i compiti delle commissioni e del presidente, ma soprattutto chi sia il presidente.

Nel calcio comanda Platini, che dalla politica ha preso spunti enormi: una poltrona è meglio di un diamante, è per sempre, a meno che non ne venga regalata una più comoda. Per ora il massimo è questa, e a quanto pare di novità per il calcio europeo non ce ne sono. In politica come nel calcio le cariche dovrebbero durare al massimo due mandati di 4 anni, ma sembra più facile che Ronaldo giochi con l’Udinese.

Moviola in campo? Utopia. Uniformità dei campionati maggiori a 18 squadre? E chi lo spiega alle tv? Sorteggi integrali degli arbitri? Perché una così inutile perdita di tempo.

L’Europa politica non esiste, ma quella calcistica non è da meno.

In Italia, poi, si parla tanto di riforme, c’è un rottamatore su un caterpillar al governo, ma per ora mastichiamo amaro sugli F35, sull’inutilità della Tav (i treni merci non ne trarrebbero vantaggi e quelli passeggeri non sono ancora previsti). Si litiga citando Hitler, segno indelebile della decadenza della dialettica dinanzi ai progetti.

Nel calcio si va avanti per inerzia: finché tutto va bene perché muovere qualcosa? Chi se ne importa se almeno una volta all’anno degli ultras rischiano di far saltare partite, chi se ne frega se il campionato a forza di importare stranieri inutili è diventato bello più o meno come quello armeno, chi se ne frega se i club non hanno progettualità sugli stadi, aspettando come sempre il solito assistenzialismo politico. Magari poi scoprendo che come per Expo 2015 (o per Italia ’90), c’è chi ci mangia parecchio alla faccia dei tifosi. Tacevano sembra un nome scritto nel destino: per ora tante parole, la sponsorizzazione di Lotito (ma non solo, anche Pozzo l’ha eletto), tante parole, ma anche la sensazione che chi comanda nel Belapese sia Infront con i soldi che porta alle società, che spendono gran parte dei proventi in ingaggi. E le grandi che stanno cercando di cambiare non hanno dirigenti capaci di farlo.

L’Europa è utopia così com’è: non c’è una lingua ufficiale, non c’è un governo e una difesa comune. Il calcio europeo è utopistico nel voler far credere che davvero esista una regola che faccia pagare caro quei ricconi che sperperano più del dovuto: verranno salvati sempre, così come è sempre accaduto.

L’Udinese in questo mondo ci nuota perfettamente: ha saputo sfruttare la politica nata con la Bosman, sa sfruttare gli agganci politici (vedi lo stadio). Sta semplicemente facendo quello che tutti fanno, ma il più delle volte lo fanno male a differenza dei bianconeri: prendere quel che si può finché si può. I soldi, in fondo, non dureranno in eterno, sia per l’EuroMerkel sia per  l’EuroPlatini. Ma nella decadenza totale, alla fine – vedrete – che quello che a Udine si sta costruendo diverrà il Colosseo del calcio, intramontabile e indistruttibile. Per questo, senza arroganza o senza presunzione, si deve pensare sempre all’obiettivo minimo, ma prima o poi consapevoli della propria superiorità sugli altri si potrà godere: senza proclami, ma parlando sul campo, come va dicendo Strama. Valeri & C permettendo. Ma qui entriamo nel solito discorso dell'innata paura di essere fregati di noi italiani, i primi a fregare se possono. Paradossi grandi come il continente.

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