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Vi aspetto al varco

Weekend difficile. In un torneo precampionato, il ventunenne cestista Alessandro Pago Pagani, già Fortitudo Urania Milano, oggi a Casalpusterlengo si accascia e solo venti minuti di defibrillatore, massaggio cardiaco e quattro iniezioni di...

Franco Canciani

Weekend difficile.

In un torneo precampionato, il ventunenne cestista Alessandro Pago Pagani, già Fortitudo Urania Milano, oggi a Casalpusterlengo si accascia e solo venti minuti di defibrillatore, massaggio cardiaco e quattro iniezioni di adrenalina lo salvano. È in coma farmacologico ma pare abbia già riconosciuto il padre prima di essere sedato. Speriamo in bene.

A Vicenza, Brighenti si scontra col proprio portiere e riposta una lesione traumatica al pancreas, inizialmente sfuggita ai sanitari e rimediata in extremis con un intervento chirurgico d’urgenza per scongiurare il peggio.

A Buenos Aires, Carlitos Tévez ne fa due all’Argentinos Juniors, prima di occludere la vena safena e spezzare in due tibia e pérone al malcapitato bicho colorado Ezequiél Ham, appena ventunenne. Le lacrime di quest’ultimo e la nonchalance dell’Apache, nemmeno sanzionato dall’ovvio apposito arbitro, mi fanno calare sottozero la nostalgia verso questo tizio, quand’anche ne avessi mai avuta in misura maggiore.

Direte? <Embé? Che ci frega? Dai, facci ridere, parlaci un po’ dell’Udinese>. Mi piaceva parlare di cose serie, di ragazzi che hanno rischiato e rischiano l’incolumità fisica per seguir virtute e canoscenza sportiva. Ed invece a queste latitudini nulla, nulla, proprio nulla mi par somigliare a quegli esempi.

Cosa mi duole? Non i punti, pochi; non le sconfitte, tante; non l’assenza di gioco, è tutto relativo.

È tutto il resto. Dovrebbe essere lieve, un gioco, una passione, come recita il colletto delle maglie che troppi giocatori sembrano non aver mai letto. E scrivo queste parole con gli occhi pieni di Lituania-Spagna di basket, finale europea, quasi ventottomila spettatori estasiati da uno spettacolo superlativo.

Altro sport, mi si dirà: quindi?

Ho letto, oggi, molti pezzi di colleghi decisamente più preparati di me. Ebbene, nel mio piccolo mi ritengo vieppiù podosfanarchico. Non è vero che si sia perso da polli: la sconfitta non arriva da singoli errori personali, ma da una condotta di gara scriteriata iniziata con il cambio di Iturra. Si è dato campo, spazio, entusiasmo a Saponara finendo poi comunque in dieci. Di Kone, per decenza, non parlo: lo sto aspettando da quindici mesi, lo aspetterò per altri quindici ma se mettiamo sulla bilancia genialate e nefandezze il piatto piange.

Non è vero che l’unica responsabile sia la società, anche se ovviamente i titolari di un’azienda, perché oggi questo è l’Udinese, sono i primi colpevoli di ogni situazione negativa. Loro hanno scelto di depauperare il patrimonio, cedendo nonchalement gente come Angella, Verre, Vydra, Ighalo, Batocchio, Abdi. Loro hanno deciso che rinforzi come Valon Behrami o José Holebas non sarebbero stati utili a Udine mandandoli a Londra. Loro hanno scelto questo allenatore, che ha come tratto distintivo (nella doppia accezione di caratteristico e lodevole) l’aziendalismo, ma che pare talvolta soffrire le situazioni di campo più di quanto ci si attenderebbe da un tecnico navigato ed esperto. Loro hanno deciso, nell’imminenza dell’inizio di campionato, di cavar fuori dal cilindro operazioni-simpatia che si chiamino naming (visto quanto sono istruito? E tutto per non voler scrivere Sandero Arena) o coinvolgano il sessantasei. Hanno confuso l’educazione dei tifosi, che qualcuno chiama con un termine poco lungimirante anestetizzati, con un totale asservimento alle proprie decisioni, forse pensando che il nuovo stadio fosse sufficiente contropartita all’ennesima campagna-rafforzamento (sono veramente spiritoso) basata sul prestito biennale di un centravanti uruguagio, e sull’arrivo di una scommessa irachena ed un mestierante cileno.

Ma non sono loro cui si delega, come un rossonero S.B. qualsiasi, la redazione della squadra; la conduzione settimanale degli allenamenti; le scelte di modulo, tattica, contromisure. Abbiamo devastato, anzi ho devastato Stramaccioni perché prima di leggere una variazione tattica avversaria ci metteva tanto di quel tempo, da far immaginare attendesse l’arrivo di un corso per allenatori per corrispondenza. Ce l’ho con lui piuttosto perché ad un certo punto è sparito, temendo forse di dover dare spiegazioni anche a chi, come il sottoscritto, voleva solo stringergli la mano e spiegargli che noi anarchici quel che abbiamo in cuore mettiamo su tastiera.

E non è la società che in campo si schiera e sembra dare il 20% di quanto richiesto, necessario, alla portata di una rosa che, per quanto non eccellente, non è così scadente da prendere lezioni di praticità dal Palermo, di velocità dalla Lazio e di gioco dall’Empoli. Piccolo inciso: i rosanero dopo Udine hanno preso un punto miracoloso in casa contro la cenerentola Carpi e perso nettamente (più di quanto non dica il risultato) ieri sera; la Lazio (che per rispetto verso chi dirige queste pagine non chiamerò più Lazietta, come quest’anno meriterebbe) si è presa una bella vacanza contro l’Udinese, ma sia prima che dopo pare un punching ball per gli avversari (quattro sberle a Chievo, cinque a Napoli). Questo campionato è pericoloso, anomalo, strano e poco allineato; prima o poi i valori emergeranno, ma per mettersi al riparo da chine pericolose i giocatori ci devono mettere qualcosa di proprio.

Non ho amici né sodali in società, fra i giocatori, fra i colleghi. Detto e ridetto. Rispetto tutti, ma chi non vede oggi macroscopiche responsabilità tecniche in campo e panchina sa perfettamente di risparmiare al lettore parte della verità.

Sono contrario alla distruzione scientemente in malafede di questo o quel tesserato; ma ieri ho provato non rabbia, non frustrazione ma dolore e pena; non tanto per me quanto per quei ragazzi e ragazze, più o meno giovani, che fino al novantacinquesimo ci hanno creduto. E hanno urlato per questa società.

A costoro noi che cantiamo di calcio dobbiamo, per rispetto e deontologia, un’informazione mai del tutto imparziale, ma quantomeno obiettiva. E se diciamo che i giocatori nella ripresa erano psicofisicamente sulle ginocchia a causa del fatto che i Pozzo non hanno comperato questi o quello manchiamo della minima credibilità.

Quattro giornate andate. Tutto il tempo per fare bene. Da adesso. Non da domani. Da adesso.

Piccolo endorsement, piccola captatio benevolentiae: la maniera in cui le frange più o meno accese della tifoseria hanno reso partecipi i vertici societari della propria disapprovazione, sulla cessione di Pinzi in particolare, merita un plauso. Il presidente dell’AUC, che mi vanto di conoscere abbastanza bene, si è mostrato un ragazzo assennato. Poteva pilotare un dissenso violento, ha preferito l’eleganza. Oggi su qualche post leggevo di tifosi del Torino che avrebbero recapitato al primo-Cairo (quando la squadra non funzionava) una testa di maiale a mo’ di memento e minaccia. Dilettanti: il friulano è di schiatta sanguigna, vien dalla braida ed in gran parte è furlan di mezza pianura come me. Noi del maiale non gettiamo nulla, nemmeno la testa, che entra in succulenti piatti porcini. Preferiamo magliette e cori.

Uno dei miei punti di riferimento, e mi riallaccio al basket, era il compianto Aldones Giordani, esperto amante commentatore di pallacanestro, vis polemica e ragionamenti finissimi intessuti come un canto berbero. Diceva sempre ai suoi redattori (quando si giocava di domenica) “se al martedì state ancora parlando della precedente partita dovete cambiare mestiere. Domenica prossima! Lì dovete concentrare le energie!!”. Aldo ci lasciò nel lontano 1992, quando molti fra i giocatori nemmeno eran nati. Ma li invito a guardarsi avanti, a preparare la gara col Milan nel migliore dei modi. Perché, signori miei, non siamo di fronte ad una mànica di brufolosi adolescenti alle prese coi primi baci: questi, età a parte, sono professionisti di un mestiere spesso pagato oltre i meriti reali.

Mi dimostrino, ci dimostrino che ho sprecato milletrecento battute per nulla. Fra quarantott’ore ne hanno tutte le possibilità. Silenzio, parli il campo. Ché dopo, parlerò ancora io. (Getty Images)

Franco Canciani@MondoUdinese

 

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